La Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge anti-corruzione: al voto finale non hanno partecipato 72 deputati, di cui 11 sono in missione, compreso Angelino Alfano, che aveva presentato la prima versione di tale ddl, e Silvio Berlusconi. Il provvedimento torna al Senato ma sono tanti i malumori nati nel Pdl.
Il ddl anti-corruzione passa dunque con una maggioranza di 354 voti e con un alto numero di astenuti. Mancano più di 100 voti, infatti, a quelli che sostengono il governo Monti. Tra i leader era presente solo Pier Ferdinando Casini che ha votato a favore, mentre hanno votato contro Idv, due deputati di Nps, due di Popolo e Territorio, mentre si sono astenuti la Lega Nord, il gruppo Pt, 38 deputati del Pdl, 6 dei Radicali eletti nelle liste del Pd.
«Al Senato sosterremo la responsabilità civile dei giudici e le diamo, signor Ministro, un elemento di riflessione: non ci venga a proporre emendamenti con l’esercizio da parte del governo di quello che è avvenuto qua, perché noi in questo caso non voteremo la fiducia su questo punto, perché non vorremmo essere ulteriormente strangolati» avverte così la Camera il leader del Pdl Fabrizio Cicchitto, riferendosi in particolare alla norma prevista dal Ddl comunitario 2011 al’esame di Palazzo Madama. E sottolinea: «Come dice il proverbio: uomo o donna avvisata è mezzo salvata».
Scettico invece Fini, che ha spiegato ai giornalisti che «spero di essere smentito, ma dopo l’intervento dell’onorevole Cicchitto temo che il ddl non sia approvato dal Senato prima della fine della legislatura».
Dura la reazione del leader dell’Idv Antonio Di Pietro, che ha commentato come «al Senato, esponenti del Pd e del Pdl hanno proposto la reintroduzione dell’articolo 68 della Costituzione che prevede l’impunità dei parlamentari, solo perché stanno qui dentro. Ma noi abbiamo bisogno di parlamentari che siano innocenti, non che siano impuniti».
Il ddl anti-corruzione esce dalla Camera con nuovi reati contro la pubblica amministrazione, limiti al ricorso agli arbitrati e una delega al governo per scrivere, entro il termine massimo di un anno, le regole che terranno fuori i condannati in via definitiva dalle assemblee elettive. Fanno poi ingresso nel codice penale nuove pene e altre rimodulate in forma più severa, la concussione indotta e tra private, e altri provvedimenti.