Nuove bocciature dai mercati finanziari per il social network più importante del mondo: il 16 agosto è infatti scaduto il primo termine per i lock-up previsti dopo il primo collocamento in Borsa dei titoli azionari di Facebook: un evento particolarmente atteso, poiché dal comportamento degli investitori in procinto di tale scadenza si sarebbe potuta comprendere la reale attuale considerazione del valore del titolo. Ebbene, proprio in prossimità del termine del lock-up si è scatenata la tanto temuta corsa alla vendita delle azioni del social network, con le quote della compagnia di Zuckerberg che ora valgono circa la metà dei 38 dollari dell’Ipo.
Scaduto il primo lock-up, infatti, oltre 271 milioni di azioni (in mano a Dst Global, Goldman Sachs, Elevation Partner e Accel Partners) sono state liberate e dovrebbero in buona parte esser in procinto di sbarcare sul mercato, aggiungendosi ai 421 milioni in circolazione, e anticipando una nuova ondata di azioni entro la fine dell’attuale esercizio (si stima, per circa 1,3 miliardi). Una simile abbondanza di titoli azionari ha generato un aumento della frequenza degli scambi, con una media di 62 milioni nella sola prima ora di scambi (più del doppio della media dell’ultimo mese) e, soprattutto, una continua pressione al ribasso nel corso del titolo.
A questo punto, diventa ancor più immediato considerare come fallimentare l’Ipo, almeno per gli investitori che hanno deciso di scommettere in una società il cui reale valore è apparentemente gonfiato. Già in sede di debutto ci si rese conto che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto: anziché riscontrare un buon balzo in avanti, gli azionisti della prima ora dovettero fare i conti con una quotazione post Ipo sostanzialmente identica al prezzo di collocamento.
I dubbi sono poi diventati certezze all’arrivo dei conti trimestrali, che hanno a loro volta alimentato gli interrogativi circa la reale capacità dell’azienda di produrre significativi ricavi in futuro. Le perdite sono state pari a 157 milioni di dollari (in linea con le stime dei principali osservatori), contro un utile di 159 milioni conseguito nello stesso periodo dello scorso anno.
Rimane da comprendere se il tutto sia avvenuto nell’inconsapevolezza dei player che hanno condotto la nave Facebook in mare aperto, oppure se vi siano stati comportamenti volontariamente atti a produrre simili conseguenze. Molti piccoli investitori hanno scelto di avviare una class action contro gli istituti di credito responsabili e partner del collocamento. I quali, senza margine di errore, sono stati certamente i vincitori del caso: Morgan Stanley, Jp Morgan e Goldman Sachs hanno infatti da sole raccolto oltre 120 milioni di dollari di commissioni.