La partecipazione statale non fa bene alla Royal Bank of Scotland, il secondo istituto di credito europeo e il quinto del mondo con una capitalizzazione di quasi 90 miliardi di euro. Il terzo trimestre del 2012, infatti, la banca fondata a Edimburgo nel 1727 ha registrato perdite per circa 1,7 miliardi di euro, rispetto a un utile di 1,53 miliardi con il quale aveva chiuso la stessa trimestrale dello scorso anno.
Il risultato negativo del periodo luglio-settembre si aggiunge a quelli del primo semestre dell’anno, che hanno fatto sì che nei primi 9 mesi la banca scozzese abbia perso 4,2 miliardi di euro contro un guadagno di 1,5 miliardi nello stesso periodo del 2011.
A provocare questi numeri preoccupanti sono stati gli oneri legati al piano di ristrutturazione dell’istituto di credito e a problemi provocati ai servizi informatici. L’azienda, intanto, è sotto inchiesta da parte delle autorità britanniche per una presunta manipolazione dell’indice Libor per cui è stata già condannata la banca Barclays, che ha dovuto pagare 453 milioni di dollari.
In forte diminuzione anche i ricavi di RBS, che sono passati da 10,7 a 6 miliardi di euro. Anche per questo, il management dell’azienda ha reso noto di essere in fase di ricerca di un acquirente per le 316 filiali dopo che il Banco Santander si è ritirato. Questa transazione deve essere effettuata entro il 2013, per rispondere alle norme comunitarie relative alla ricezione di aiuti pubblici.
La Royal Bank of Scotland, infatti, nel 2008 è stata salvata dal fallimento – insieme ad altri istituti – da un imponente piano dell’allora primo ministro Gordon Brown che con uno stanziamento da 45 miliardi di euro ha fatto sì che il governo entrasse in possesso del 57,9% delle quote. Tali quote, nel 2009, sono salite all’84%.