Il vicedirettore di Bankitalia, Salvatore Rossi, è lapidario: siamo ormai al quinto anno consecutivo in cui si allarga la forbice sul reddito delle famiglie italiane. E la situazione è addirittura peggiorata rispetto al 2009, quando, in piena recessione, le entrate subirono una riduzione pari al 2,5%.
L’analisi di Bankitalia non fa una grinza e, al contempo, non racconta niente di nuovo: i crediti alle famiglie che “mostrano segni d’affanno”, prestiti erogati che si riducono (con un trend negativo nel terzo trimestre di quest’anno), nuove concessioni molto più contenute, rispetto al passato. Le stime parlano di una decrescita dei mutui immobiliari che non si arresta, anzi proseguirebbe fino alla metà del 2013, di un mercato del credito che non può superare il gap rispetto agli altri paesi avanzati se non miglioreranno le condizioni economiche generali e queste non sono rivelazioni dell’ultima ora.
In Italia, circa 900mila famiglie hanno contratto debiti che superano del 30%, il loro reddito; con questi dati, facile intuire in che modo la crisi finanziaria si sia abbattuta come una scure sull’economia reale, colpendo soprattutto quei nuclei familiari definiti da Bankitalia “vulnerabili”, in altre parole, che rientrano nel primo e secondo quartile di reddito.
Continuano a contrarsi le retribuzioni: secondo l’Istat nelle fasce orarie di ottobre si denota un lieve innalzamento pari all’1,5% su base annua (erano dell’1,4% a settembre), crescono su base mensile dello 0,2%, ma restano sotto il livello d’inflazione. Palesando la diversificazione dei settori, i rialzi tendenzialmente più forti comprendono i comparti dell’acqua, i servizi legati allo smaltimento dei rifiuti (3,0%), quelli dell’energia elettrica e gas (2,9%) e via via si va dal tessile, abbigliamento, alla lavorazione delle pelli (2,8%). Sarebbero nulle le variazioni per telecomunicazioni e tutte le divisioni inerenti alla pubblica amministrazione.
Sul fronte contrattuale, si registrano dati altrettanto preoccupanti con i quattro milioni i dipendenti in attesa di rinnovo. A ottobre, erano trentasei gli accordi da rivedere, di cui sedici concernenti la pubblica amministrazione, classificando circa quattro milioni di dipendenti. Secondo il report, la quota dei dipendenti che aspetta il rinnovo contrattuale è pari al 30,7% nel totale del quadro economico, registrando un rialzo rispetto a settembre. Se per quelli dell’industria chimica si prospetta un rinnovo prima della scadenza naturale del contratto (dicembre 2012), non saranno così fortunati i lavoratori dell’industria alimentare e olearia. Per non parlare dei cosiddetti “statali”, i cui contratti sono scaduti nientemeno che dal gennaio 2010, subendo il blocco “convenuto” per decreto legge. Tempi d’attesa? Lunghi, 32,2 mesi, in deciso aumento rispetto allo scorso anno (22,4).