Licenziare il dipendente che fa concorrenza al capo

di Teresa Barone

3 Settembre 2013 10:00

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Se un dipendente possiede una quota di un?azienda concorrente il suo licenziamento è pienamente giustificato, e non sono ammessi ripensamenti ?

È legittimo il licenziamento di un dipendente che viola l’obbligo di fedeltà all’azienda facendo concorrenza al capo: la Corte di Cassazione ha ribadito questo concetto esprimendosi in merito al comportamento di un lavoratore in possesso di una quota societaria di una azienda concorrente alla società datrice di lavoro.

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Con la sentenza 19096/13, inoltre, la Corte Suprema giustifica il licenziamento del dipendente anche nel caso in cui la  sua seconda “attività” non sia decollata ufficialmente, e nonostante la cessione delle quote. A essere condannato, infatti, è il comportamento del lavoratore che segnala in modo inequivocabile la fine del rapporto di fiducia tra il dipendente e il boss.

«L’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato va collegato ai principi generali di correttezza e buonafede e pertanto impone al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente per cui, ai fini della violazione dell’obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore, è sufficiente la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno.»

Con queste parole la Cassazione tira in ballo valori come buonafede e lealtà, principi cardine di ogni rapporto di lavoro e messi completamente da parte dal lavoratore che sceglie di lavorare per un’altra società basata sulla medesima attività economica. In questi casi, inoltre, non sono ammessi ripensamenti:

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«È del tutto indifferente che subito dopo la sospensione cautelare il ricorrente abbia dismesso la sua partecipazione alla neo-costituita società, essendo determinante l’effetto costituito dal venir meno del rapporto fiduciario per avere il datore di lavoro rilevato nel proprio dipendente una propensione a non curare gli interessi dell’impresa cui appartiene.»