Superminimo: un caso letterario

di Chiara Basciano

14 Luglio 2015 11:00

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La Cassazione si esprime sull?utilizzo dei termini e sulla loro imprecisione letterale.

Come conseguenza del contenzioso portato avanti da alcuni dipendenti di una società contro la stessa la Cassazione ha precisato che la differenza tra termini quali superminimo e straordinario non può essere presa alla lettera.

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Nel dettaglio la disputa ruota attorno al significato letterale dei termini, infatti l’imputazione di un compenso forfetario a superminimo e non a lavoro straordinario non può discendere automaticamente dal significato letterale delle lettere nelle quali l’azienda comunichi i miglioramenti retributivi ai dipendenti.

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Bisogna infatti tener conto di elementi extra testuali, inoltre il giudice non è vincolato dai termini utilizzati dalle parti, dal momento che questi possono risultare errati, anche se non in maniera programmatica ma per semplice improprietà di linguaggio o per semplice inesattezza.

Il criterio letterale non è assoluto né assorbente, non potendosi ritenere che la ricerca della volontà negoziale vada effettuata esclusivamente sulla base delle espressioni utilizzate nel testo, senza possibilità di cercare un significato diverso da quello letterale. Questo criterio, secondo la Cassazione, può valere solo nei casi in cui il testo letterale sia sufficientemente chiaro, e non consenta dubbi sul suo significato e sulla effettiva volontà delle parti, ma, in ogni caso, non può valere per la qualificazione giuridica del contratto e delle singole clausole che ne fanno parte.