Il datore di lavoro è tenuto a proporre mansioni alternative al dipendente prima di procedere con il licenziamento, se motivato dall’esigenza di avviare ristrutturazioni aziendali.
In presenza di posizioni aziendali disponibili, anche se di “contenuto professionale inferiore” e basate su mansioni non equivalenti, il lavoratore deve avere la possibilità di accettare un’alternativa al licenziamento.
=> Il demansionamento evita il licenziamento
In caso di risposta negativa, tuttavia, il datore può licenziarlo per giustificato motivo oggettivo ma deve rispettare l’obbligo di “repechage” facendo riferimento anche a posizioni inferiori che siano conformi alle competenze professionali del dipendente.
Quest’ultimo, accogliendo la proposta di un demansionamento per evitare il licenziamento, accetta anche una eventuale retribuzione inferiore.
Il datore, da parte sua, per rendere legittimo il licenziamento in caso di riorganizzazione (e quindi di soppressione di un posto specifico) è tenuto a dimostrare non solo di non poter offrire una posizione equivalente ma di aver ottenuto un rifiuto alla proposta di reimpiego con demansionamento.
=> Demansionamento: quando non è reato
In generale, come chiarito dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17634 del primo luglio 2019, il demansionamento è ammesso se c’è una ristrutturazione aziendale ed il dipendente rifiuta di essere ricollocato in attività equipollenti presso altri siti.