ROWE: lavorare ed essere felici di farlo

di Virgilio Serreli Cadeddu

27 Luglio 2009 13:00

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Stanchi della monotonia lavorativa? Niente paura la soluzione c'è già e si chiama ROWE che tradotto in lingua nostrana vuol dire: "ambiente di lavoro basato sui risultati"

L’idea è nata dall’azienda americana Best Buy che, per rispondere alle richieste dei propri dipendenti, ha ideato un lavoro interamente basato sul raggiungimento degli obiettivi. Grazie a questa idea la Best Buy si è guadagnata il titolo di azienda dell’anno 2004 dalla rivista Forbes, e sicuramente i ringraziamenti dai propri dipendenti.

Il concetto che sta alla base è semplice: l’azienda affida al dipendente un progetto da portare a termine, si concorda un periodo di tempo massimo per concluderlo, dopodiché sarà lo stesso dipendente a decidere quanto e dove lavorare.
Grazie infatti alle tecnologie come palmari, notebook, iPhone e quant’altro è possibile lavorare al di fuori dell’ufficio, come d’altronde si fa ormai da un decennio con il tele-lavoro e il ROWE infatti non è altro che una sua evoluzione.

Prendendo spunto da alcune statistiche che riguardano il tele-lavoro in Europa (fonte Eurostat) si evince subito che in Italia siamo ancora legati ad una concezione tradizionale, infatti a fronte del 27% di tele-lavoratori presenti in Finlandia, Olanda e Svezia, e del 17% nel Regno Unito, in Germania e in Danimarca, in Italia la quota di lavoratori che hanno scelto il tele-lavoro si ferma al 5%.

Segnali di apertura da parte dell’attuale governo nei confronti dell’uso di queste tecnologie ci sono stati e questo ci lascia ben sperare, ma le aziende che vogliono adottare questa metodologia sono ben poche. A fare resistenza è soprattutto il nostro tipo di economia incentrata sul manifatturiero ed una concezione che nasce da profondi risvolti sociologici che riguardano il modo di intendere l’azienda da parte sia dei datori che dei dipendenti stessi.

Cali Reesler e Jody Thompson, “Perché il lavoro fa schifo e come migliorarlo” (ed. Elliot, pag. 256, € 14,00), affermano: «Il lavoro non è un luogo fisico dove ci rechiamo ogni mattina, ma è ciò che facciamo. Sono le nostre idee, i nostri progetti. Il lavoro non può essere la negazione della nostra vita», e ancora, «ormai il concetto tradizionale di lavoro (40 ore settimanali, lunedì-venerdì, 9-17) è superato. Vediamo persone inadeguate alle loro mansioni che vengono promosse solo perché arrivano prima e si trattengono più a lungo di tutti gli altri alla loro postazione. Partecipiamo a lunghissime, e molto spesso inutili, riunioni dove sopportiamo colleghi che pongono domande insulse solo per sottolineare la loro presenza».

Nel libro oltre a riportare diverse esperienze di chi già lavora con il metodo ROWE le autrici sintetizzano questo pensiero in dieci punti:

  1. L’impiego della tecnologia sul posto di lavoro deve servire ad aumentare la libertà del lavoratore e non la sua reperibilità.
  2. La gente che lavora deve decidere come usare il cellulare e tutti gli altri strumenti coi quali eventualmente esercita il suo lavoro.
  3. L’uso del telefono e delle teleconferenze deve essere la norma e non l’eccezione.
  4. Eliminare il cartellino di lavoro.
  5. Smettere di chiedere alle persone dove sono e cosa stanno facendo.
  6. Essere sempre reperibili al cellulare o ad ogni altro mezzo usato per comunicare.
  7. Adottare una gerarchia nella scelta dei modi e dei sistemi di contatto per lavoro negli strumenti informatici.
  8. Ridurre le riunioni allo stretto necessario.
  9. Utilizzare al minimo la calendarizzazione degli impegni di lavoro.
  10. Adottare il corretto modo per comunicare con gli altri trattando gli interlocutori come se fossero degli stranieri immedesimandosi nella loro cultura.

Insomma le potenzialità per una nuova rivoluzione del lavoro ci sono tutte e forse in tempi di crisi economica un nuovo passo verso una società più libera e più umana non può far altro che bene.