Perché i manager piagnucolano contro l’incertezza?

di Carlo Lavalle

28 Febbraio 2011 11:00

logo PMI+ logo PMI+
Contro il piagnisdeo della aziende sul mondo incerto Rick Wartzman oppone il pensiero di Peter Drucker.

Perché le aziende si lamentano dell’incertezza e avanzano continue quanto inutili pretese verso lo Stato centrale? Nessuna impresa, indipendentemente dall’azione politica del governo federale, può aspettarsi di mettere sotto completo controllo le forze fondamentali che plasmano la realtà. Sul sito del prestigioso settimanale di economia Business Week, Rick Wartzman – direttore del Drucker Institute presso la Claremont Graduate University – non lesina critiche agli atteggiamenti e alle facili credenze del mondo manageriale statunitense facendo valere gli insegnamenti di Peter F. Drucker, professore naturalizzato americano, grande esperto in organizzazione aziendale e management, scomparso nel 2005.

Per la verità, Drucker nel suo libro “The Age of discontinuity” ha messo in evidenza e censurato l’inefficienza raggiunta dal sistema politico ma assegnando poco valore alla capacità d’incidere delle decisioni governative.

Ci sono altri e più possenti fattori che modellano il mondo e di fronte all’insorgere di queste potenze il ruolo della politica tende a ridursi, a diventare persino “inutile”. Sono piuttosto le grandi trasformazioni sociali che agiscono nel profondo ad imprimere effetti duraturi sul vivere comune economico e politico.

Oltre tutto l’incertezza appare una condizione strutturale dell’attività economica giacché essa è rivolta al futuro come Peter Drucker sottolinea in “The Practice of management“.

Sotto questo rispetto il punto di svolta storica è stato il passaggio dall’epoca dell’agricoltura alla manifattura. Nella produzione industriale non può essere previsto con certezza se e quando un prodotto avrà successo. L’avvento della società della conoscenza e dei servizi ha in seguito ingarbugliato e reso ancora più incerto lo scenario posto davanti all’attività manageriale.

Secondo Drucker «l’incertezza – nell’economia, nella società, nella politica – è diventata così grande da rendere inutile, se non controproducente, il tipo di pianificazione portata avanti dalle aziende basata su analisi probabilistiche».

Le cose dovrebbero essere inquadrate e gestite in modo nuovo. Bisognerebbe chiedersi non ciò che è più probabile accada ma cosa di già avvenuto è destinato ad influenzare il futuro. Le innovazioni di solito sfruttano i mutamenti incipienti che non hanno ancora avuto un pieno impatto sulla realtà.

Quali sono i settori dove dirigere lo sguardo per individuare i cambiamenti più importanti a lungo termine? La demografia, la scienza, la tecnologia e il campo in cui si giocano e si modificano i nostri valori fondamentali. Pensiamo alla nascita dei movimenti ecologisti e all’affermarsi di una nuova concezione del rapporto uomo e ambiente.