Gli italiani in ufficio? Solidali

di Andrea Barbieri Carones

20 Luglio 2012 14:00

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Un'indagine inernazionale sul mondo del lavoro indica che gli italiani danno grande importanza alla qualità dei rapporti personali tra colleghi.

Amicizia? Solidarietà? Non sembrano appartenere al mondo del lavoro, anche se un sondaggio effettuato dalla multinazionale olandese Randstad sembra provare il contrario, soprattutto per quanto riguarda gli italiani che più di tutti sarebbero pronti a sostenere i colleghi.

In base al Work Monitor Randstad – lo studio condotto in 32 Paesi del mondo nel 2° trimestre del 2012 con l’obiettivo di analizzare i rapporti e le relazioni che si instaurano nei luoghi di lavoro – il 56% dei lavoratori sarebbe addirittura disposto a ridursi lo stipendio per evitare licenziamenti di personale in esubero, mentre l’84% cerca un legame con i colleghi mentre 6 lavoratori su 10 sono testimoni di relazioni sentimentali nel luogo di lavoro, in alcuni casi scoraggiati quando non proprio vietati dalle aziende.

A livello globale la percentuale di persone disposte ad una riduzione del salario si attesta al 36% con punte, massime e minime, che variano a seconda della percezione nazionale della crisi economica. E così, mentre Grecia, Italia e Spagna si attestano sul 56/57%, con una punta massima dei lavoratori indiani che tocca il 71%, negli Stati Uniti solo il 22% del campione sarebbe disposto ad un sacrificio economico.

Dall’analisi del Work Monitor emerge anche che la metà degli intervistati (il 49%) è consapevole della situazione di difficoltà economica che  tocca le aziende italiane, un dato in linea con i colleghi francesi (47%) e inglesi (45%) ma sensibilmente più alto di nazioni come gli Stati Uniti (39%) o della Germania che, con il 26%, sembra essere il Paese europeo a risentire di meno delle turbolenze dei mercati.

Per quanto concerne i rapporti con i colleghi, dall’analisi delle risposte risulta che, per l’84% degli intervistati, stabilire una relazione è una necessità che va oltre la semplice formalità indotta dall’abitudine e, nel nostro Paese, è decisamente più alta del 74% riscontrato tra i lavoratori americani, del 68% degli inglesi, del 60% fra i francesi e del 57% dei tedeschi.

A confermare questa propensione, inoltre, è anche il dato relativo alle persone che si frequentano fuori dall’ambito lavorativo: il 61% degli italiani, in questo al pari dei colleghi stranieri (64%  è la media globale) con punte massime del 93% tra i lavoratori brasiliani e del 91% ad Hong Kong, salvo che per gli americani per i quali il dato è ridotto al 50% o per il Lussemburgo dove la percentuale di colleghi che si incontrano al di fuori dell’orario di lavoro è appena del 20%.

La quantità di tempo trascorso insieme ai colleghi, però, può generare rapporti che vanno oltre la semplice amicizia trasformandosi, in molti casi, in vere e proprie relazioni sentimentali. Ad affermarlo è il 60% degli italiani che testimonia di avere esperienza di legami affettivi tra colleghi, una tendenza in linea con i lavoratori francesi ed inglesi e leggermente più alta della media globale (57%). E se in Cina, India e Malaysia le percentuali su attestano attorno al 70%, i Paesi dove i tassi di relazioni tra colleghi risultano minimi sono il Giappone  (33%) e il Lussemburgo (36%).

Un Paese, quest’ultimo, dove emerge anche che la gran parte dei lavoratori, il 65% del campione, crede che le relazioni sentimentali tra colleghi possano interferire con le performance lavorative giudicandole, nel 42% dei casi, problematiche. Al contrario, invece, dall’ultimo Work Monitor Randstad risulta che l’80% degli italiani non ritiene un problema vivere una storia d’amore con un collega (a livello globale la percentuale è del 72%), fermo restando, però, la consapevolezza della portata potenzialmente caotica dell’amore sulla disciplina del lavoro.

Cosa fare, dunque, in questi casi? Per il 44% degli intervistati è un problema risolvibile con il trasferimento di uno dei due in altri reparti, mentre solo il 24% è convinto che l’unica soluzione sia nelle dimissioni. Anche qui, però, il giudizio è estremamente comprensivo e solo marginalmente rigidamente normativo; insomma l’amore sul luogo di lavoro per gli italiani genera un caos gestibile: non tanto con l’estromissione definitiva di uno dei due soggetti dal corpo aziendale (dimissioni: soluzione contemplata solo dal 25% degli intervistati) ma con una più moderata separazione territoriale che vede nel cambio di reparto la soluzione ipotizzata dal 37% dei francesi, dal 54% degli americani fino al 42% dei lavoratori italiani.
 
L’indagine ha provato, infine, ad analizzare la diffusione della “work addiction“: in Italia “solo” il 13% del lavoratori afferma di vivere per lavorare (al pari dei tedeschi e francesi, superiore, invece, fra i colleghi anglosassoni ed americani con poco meno del 20%). Dunque si lavora per vivere (87%), ma con la sana ambizione di dare un senso al proprio tempo e al proprio agire, se si considera anche che il salario è fondamentale ma non è sempre il principio primo del lavorare essendo spesso subalterno ad altri valori di scambio che costituiscono parte integrante di una qualificata vita lavorativa. Lo conferma, ad esempio, il 58% degli italiani disposti a rinunciare a parte dello stipendio per un posto di lavoro più sicuro o il 49% convinto che avere colleghi simpatici sia più importante di un buon salario.

Discorso diverso, infine, per le ambizioni personali che, soprattutto in questa fase, vanno valutate anche in funzione delle prospettive economiche delle diverse aree del mondo, e così, se a livello globale il 42% dei lavoratori interpellati lascerebbe un lavoro in cui non c’è una prospettiva di crescita personale, emergono dati significativamente diversi a seconda della geografia economica: con picchi massimi del 84% in paesi come la Cina e dell’81% in India e, al contrario, minimi in zone “problematiche”come la Grecia dove solo il 24% dei lavoratori sarebbe disposto a lasciare il lavoro per le proprie ambizioni.

Differenze che emergono anche tra gli stessi Paesi europei dove mentre permane una visione ansiosamente statica fra gli italiani al punto da permanere più frequentemente in un posto di lavoro che non consente ulteriori sviluppi professionali (31%) e da introdurre più spesso una negoziazione al ribasso sul piano economico (58%), al contempo emerge una visione fiduciosamente dinamica fra i tedeschi che possono quindi permettersi una maggiore intraprendenza quando insoddisfatti del livello di carriera (39%) e significativamente meno propensi a patteggiare il proprio salario con sicurezza del posto di lavoro (46%).