La presenza di un collaboratore che mostra un atteggiamento passivo-aggressivo rappresenta sempre un pericolo in ambito lavorativo, in grado di mettere a rischio un intero progetto e minare alla serenità del gruppo. È proprio una “squadra”, infatti, a rappresentare il luogo ideale per mettere in pratica ostruzionismo e sabotaggio.
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Oppositivo, risentito, incapace di dire apertamente ciò che pensa ma abile nel “delegare” anche le sue decisioni che si sono rivelate inefficaci: il passivo-aggressivo non mostra un comportamento apertamente violento, ma evita di soddisfare le richieste – talvolta dando il consenso solo a parole – lasciando sempre i problemi irrisolti e, peggio, sabotando sistematicamente il lavoro altrui.
Come gestire questo tipo di personalità in ambito professionale? Non è mai opportuno cercare di cambiare un collaboratore passivo-aggressivo, preferendo altre strategie (l’umorismo, per esempio) per sottolineare un comportamento sconveniente dimostrando superiorità.
È sempre inutile tollerare gesti e atteggiamenti potenzialmente “dannosi”, sforzandosi di formalizzare qualsiasi comunicazione che può rivelarsi problematica, ad esempio chiamando in causa un testimone o mettendo nero su bianco la conversazione.
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Spesso tuttavia, molti passivi aggressivi mostrano questo atteggiamento perché non si sentono ascoltati, perché nessuno dà loro una voce: coinvolgerli nel “gruppo” rendendoli parte attiva di un progetto, infatti, può ridurre al minimo i possibili danni dal punto di vista della produttività e del lavoro di squadra.