Il settore delle risorse umane si trova spesso ad affrontare l’analisi di personalità complesse, svolgendo un ruolo più vicino a quello dello psicologo che a quello del selezionatore. Capire con chi si ha a che fare infatti implica una grande conoscenza dell’essere umano.
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Per questo spesso i selezionatori decidono di basare il loro lavoro si modelli prestabiliti, in grado di classificare le diverse personalità. Uno di quelli più utilizzati è l’indicatore di personalità di Myers-Briggs, formalizzato nel 1962. Il punto di forza del questionario è quello di suddividere le personalità secondo determinate dicotomie. Se da un lato c’è l’introverso dall’altro c’è l’estroverso, così come avremo sensitivo contro intuitivo, ragione e sentimento, giudizio e percezione.
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Questo tipo di classificazione può essere utile per catalogare grosso modo i candidati ma non può essere una guida sicura. Nel corso del tempo infatti si è capoto che la dicotomia non è così netta come potrebbe apparire. A parte i cambiamenti che si operano nel corso di una vita c’è anche da considerare che si può avere una naturale predisposizione verso un lato ma a seconda delle circostanze si può passare anche all’altro campo.
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In particolare l’introverso potrebbe essere davanti a molte persone e sentirsi più a suo agio con poche, tanto da diventare estroverso. Avere a che fare con persone maggiormente complesse è un vantaggio, ma rende più difficile una classificazione iniziale, per questo le ricorse umane non devono affidarsi a test prestabiliti, sviluppando invece empatia e capacità di lettura degli altri.
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