I social network rappresentano «una nuova opportunità di comunicazione anche per il professionista», che però non deve mai dimenticare la rilevanza deontologica e disciplinare dell’utilizzo dello strumento.
I Consulenti del Lavoro dedicano un’ampia riflessione al rapporto fra professione e utilizzo dei social sotto il profilo deontologico. con l’approfondimento del 5 agosto 2019.
Il punto di partenza è il seguente: «vi è una contraddizione in termini nel chiedersi quale sia il limite tra deontologia e utilizzo dei social network. E questa discrasia risiede nella totale assenza di regole che al momento regna nell’uso di Internet, posta al cospetto dell’impianto deontologico che – al contrario – è il coacervo delle regole di comportamento obbligatorie per i professionisti».
Una lacuna che il sistema ordinistico colma con la deontologia professionale.
«Dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro» sottolinea Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi CdL, arrivano i primi segnali, con «modifiche del codice deontologico» e «precise indicazioni operative agli iscritti, a cui fa seguito una puntuale attività di vigilanza».
La regola generale è che «l’utilizzo dei social per diffondere le proprie idee, per commentare notizie, nonché per formulare apprezzamenti nei confronti di altri soggetti richiede la massima cautela».
Il consulente – che esprime una voce qualificata sulle tematiche connesse a mondo del lavoro, occupazione, economia, fisco, aziende, consumi, rapporti di lavoro, giuridici, previdenziali – «nell’utilizzo dei social network non può dimenticare il ruolo sociale».
Questo non significa che «al Consulente del Lavoro siano preclusi l’utilizzo del web o degli strumenti social per pubblicizzare lecitamente ed in piena libertà la propria attività professionale, né tantomeno che sia limitata la corretta concorrenza tra i colleghi, che invece è un valore dell’ordinamento e che in condizioni di libero mercato, anche professionale, va preservato ed incentivato».
L’approfondimento dedica considerazioni dettagliate su alcuni specifici reati legati allo scorretto utilizzo dei mezzi di comunicazione, come la diffamazione: un post offensivo su Facebook configura l’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 del codice penale, perché «la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone, anche se non possa dirsi posta in essere col mezzo della stampa, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico».
Altri temi critici: tutela della privacy, proprietà intellettuale.
In ogni caso, «il principio cardine è che la dignità delle persone ha il medesimo valore su Internet come nella vita reale» e il professionista «intervenendo pubblicamente in una discussione virtuale, che può avvenire indifferentemente in una chat di WhatsApp oppure commentando un post su Facebook o Twitter» deve ricordare che, a prescindere dalla natura tecnica o meno dell’argomento trattato, «sussiste l’obbligo deontologico di preservare il decoro della categoria e di relazionarsi con i colleghi con il massimo rispetto».
Ribaditi anche i principi di lealtà, buona fede, correttezza, fedeltà, segreto professionale, riservatezza, competenza, concorrenza, sempre da rispettare in tutte le attività connesse all’utilizzo delle piattaforme social.