Il Codice civile ed in particolare l’art. 2389 comma 1, sia nel testo precedente che in quello post riforma societaria dispone che l’organo competente a determinare il compenso degli amministratori è l’assemblea dei soci.
La riforma societaria ha modificato il 3° comma dell’art. 2389 stabilendo che quando gli amministratori sono investiti di particolari cariche in conformità allo statuto, il compenso è deliberato dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.
Inoltre, lo statuto societario può prevedere l’importo della remunerazione degli amministratori oppure può sancire soltanto il loro diritto al compenso, demandandone la determinazione all’assemblea. Nel caso in cui lo statuto non faccia alcun riferimento al compenso per chi riveste la carica di amministratore, sorge il problema che consiste nel capire se ad essi spetta o meno una remunerazione.
Relativamente a questa particolare ipotesi, la dottrina e la giurisprudenza concordano nell’esistenza di una “presunzione di onerosità” intrinseca nel mandato di amministratore. Quindi, se lo statuto nulla prevede sul tema, il suo “silenzio” non può far venir meno tale presunzione. E veniamo al dunque… In cosa può consistere il compenso di un amministratore?
In generale, la tipologia di compenso può essere rappresentato da gettoni di presenza, da una somma fissa, da un importo mensile etc, oppure dalla partecipazione agli utili della società, le c.d. stock options. In altri casi può essere previsto che il compenso dell’amministratore sia subordinato al fatturato della società.
Per quanto riguarda l’ammontare del compenso, la giurisprudenza più recente ritiene che questo sia commisurato alla dimensione della società e sia determinato in base all’appartenenza dell’amministratore ad una particolare categoria professionale.
Se l’importo del compenso è stabilito dallo statuto societario, questo non può essere diverso da quanto fissato dall’atto, a meno che non sia modificato l’atto stesso. Infine, anziché determinare il compenso per singolo amministratore, può essere prevista una somma complessiva che sarà elargita a tutto il consiglio di amministrazione.
Sarà l’organo stesso, poi, a stabilirne la ripartizione tra i vari membri. E se i compensi sono determinati in violazione delle norme civilistiche? Sono previste pene e sanzioni amministrative nel caso in cui il compenso sia determinato in violazione dell’art. 2389 c.c. che disciplina il regime dei compensi agli amministratori.
La disposizione contenuta nell’articolo 2389 del Codice Civile in una recente pronuncia è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione imperativa e inderogabile. Una pratica piuttosto frequente, infatti, è quella di trovare vari espedienti per non far comparire nei verbali di delibera delle assemblee l’ammontare del compenso degli amministratori, in particolare per nascondere al Fisco tali remunerazioni.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21933 del 08, hanno recentemente affermato che i compensi degli amministratori delle società di capitali devono essere stabiliti con una delibera societaria specifica.
Non è dunque sufficiente quella di approvazione del bilancio nel quale gli stessi vengono dedotti come componente negativo di reddito.
Il Fisco, infatti, potrebbe presumere la percezione di compensi da parte degli amministratori anche in presenza di un mandato apparentemente gratuito, ma che, proprio per questa caratteristica, determinerebbe un comportamento “antieconomico” da parte della società.