Forse ai più il nome di Catia Bastioli può sembrare uno come tanti, in realtà si tratta di una vera e propria autorità nel suo settore, quello della ricerca nel campo delle economie sostenibili e delle energie alternative. Nata a Foligno, ma residente a Novara, è una minuta ma caparbia donna manager impegnata in prima linea nella lotta al degrado ambientale.
Cinquant’anni, una laurea in chimica conseguita all’Università di Perugia ed un master in Portogallo, inizia giovanissima a studiare, alla Montedison, sui materiali biodegradabili da risorse rinnovabili.
Entrata come dirigente nel 1993 alla Novamont, una nuova società creata da una costola di Fertec (Polo Ferruzzi Ricerca e Tecnologia), ne è diventata l’attuale amministratore delegato, riuscendo ad aprire anche una nuova filiale a Terni. È nel 2007 che le viene tributato finalmente un riconoscimento a livello internazionale. La Bastioli viene infatti insignita del premio “Inventore Europeo dell’anno” in virtù del suo brevetto per i sacchetti di origine vegetale Mater-Bi, in tutto e per tutto simili a quelli di plastica ma con un’unica differenza: le buste tradizionali per decomporsi impiegano dai 100 ai 400 anni, quelli Mater-Bi, una volta usati di dissolvono nell’aria in poche settimane.
Questo è un po’ il principio ispiratore dei suoi studi: «Il mio scopo non è solo di fabbricare e vendere un bene, bensì di promuovere un nuovo modello di produzione e riciclaggio fortemente integrato nella regione in cui si vive». Nell’era della globalizzazione, la Bastioli è convinta che «la prossimità sia una risorsa e che sia possibile creare filiere tra agricoltura e industria».
Parla di «prodotti che nascono dalla terra e che alla terra ritornano, con il contributo di una chimica pulita». Una fervente sostenitrice di un necessario ritorno alla natura, insomma, che rigetta decisamente il termine “bio”, troppo spesso usato e abusato solo per coprire l’immagine di aziende che, in realtà, sono inquinanti.
I concetti alla base della sua ideologia, che potrebbero spesso risultare utopici, sono stati invece tradotti in pratica nella città in cui vive: Novara. Qui, fino a qualche anno fa si producevano 40mila tonnellate di rifiuti l’anno, oggi solo 14mila, peraltro facilmente smaltibili. Un miracolo moderno reso possibile dalle bioraffinerie e dal metodo Pneo per la raccolta del rifiuto alimentare.
Si tratta di un sistema messo a punto da Novamont, basato sull’uso di un sacchetto e di un contenitore che permettono la totale respirazione del prodotto e quindi la facilità, per chi fa la raccolta in casa, di separare il rifiuto organico evitando sgradevoli odori (tale “respirazione” evita fenomeni anaerobici).
In più, l’allontanamento dell’umidità (sotto forma di vapore acqueo), che può essere dal 20 al 50% in peso rispettivamente nell’intervallo di 2 o 7 giorni, permette una riduzione significativa del rifiuto alimentare, minimizzando l’impatto ambientale e i costi del trasporto. Infine, questa membrana traspirante è anche una barriera a virus e batteri in quanto non trasudano eventuali sostanze tossiche o pericolose.
Il resto dei rifiuti è quindi più pulito, più facilmente inceneribile, con più alto potere calorifico e, se proprio deve essere smaltito in discarica, almeno non presenta rifiuto organico putrescibile, che crea metano ed è ad alto impatto per la discarica: «Lo sa che quasi il 40% dei rifiuti prodotti da una famiglia è organico e che il metano in discarica produce un effetto 21 volte maggiore della CO2?».
Sicuramente il dato è a molti sconosciuto, ciononostante nel mondo ben 4mila Comuni, tra cui San Francisco, hanno adottato il metodo ideato dalla Bastioli e dai suoi ricercatori.