Il Disegno di legge 2482 sulla “parità di accesso delle donne negli organi di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati” mira a favorire il raggiungimento delle pari opportunità lavorative in Italia, Paese che figura tra gli ultimi posti nelle statistiche comunitarie sull’eguaglianza di genere.
Già altri Paesi europei come la Norvegia, l’Islanda, la Spagna e la Francia hanno adottato misure di salvaguardia della presenza femminile nei Cda: l’obiettivo è quello di abbattere gli ostacoli sociali che contrastano il pieno sviluppo delle professionalità femminili, la cui esistenza è dimostrata dallo scarsissimo accesso ai ruoli decisionali, seppure in presenza di identiche capacità e competenze dei colleghi uomini.
Il DDL che prevede che le donne entrino per legge nei Cda delle società quotate prosegue il suo iter legislativo ed è ora al vaglio delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali.
Dopo l’approvazione la legge entrerà in vigore entro 12 mesi.
Il provvedimento che sta facendo tanto discutere per la sua possibile incostituzionalità, perché introdurrebbe una discriminazione in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, prevede che nei Consigli d’amministrazione delle società quotate e delle controllate pubbliche la presenza femminile arrivi ad un quinto a partire dal 2012 e ad un terzo dal 2015.
È da sottolineare la “durata temporanea” del provvedimento che ne escluderebbe l’incostituzionalità: è previsto il limite di tre mandati per la nomina nei Cda. La temporaneità va vista infatti come spinta all’ingresso delle donne nei luoghi di potere e di decisioni strategiche, per colmare il gap esistente nel mercato del lavoro italiano.
Nel testo del provvedimento è anche previsto un sistema sanzionatorio per le società inadempienti. Le sanzioni prevedono l’emanazione di una diffida a reintegrare entro quattro mesi il Cda o i collegi.
Scaduto questo termine, se le imprese dovessero risultare nuovamente inadempienti, vedranno arrivare a loro carico una nuova diffida a reintegrare entro tre mesi, a seguito dei quali è previsto la decadenza del Consiglio d’amministrazione o degli organi di controllo.
Le sanzioni previste sono anche di natura pecuniaria:
- da 100 mila a un milione di euro per i Cda
- da 20 mila a 200 mila per i collegi sindacali.
L’autorità di vigilanza per le società quotate sarà la Consob, mentre per le controllate pubbliche non quotate sarà un regolamento del governo a decidere.
Senza dilungarsi sulle ragioni di chi è favorevole o contrario all’introduzione delle Quote rosa nei Cda, un dato certo è da segnalare: la presenza femminile in quasi tutti gli ambiti professionali in Italia diminuisce man mano che ci si avvicina ai vertici. Si auspica il raggiungimento di una situazione ideale in cui il merito vinca sul genere.