Donne in Cda, poche le società “a regime”

di Massimiliano Santoro

9 Febbraio 2012 11:30

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Quote rosa: sono in aumento le donne nei consigli di amministrazione di società quotate in borsa, anche se sono ancora poche.

Su 262 società ben 132 hanno una rappresentanza femminile nei Cda ma solo 6 sono in linea con il requisito “a regime” di 1/3 però ci sarà un turnover forzato dei consiglieri maschi pari al 32% in un triennio. Sono questi alcuni dei dati presenti nell’undicesimo rapporto sulla corporate governance  delle società quotate pubblicato da Assonime (Associazione fra le società italiane per azioni)-Emittenti Titoli. L’indagine fa riferimento alle 262 società italiane quotate presso Borsa Italiana al 31 marzo 2011.

La perdurante scarsa presenza di donne nei luoghi decisionali è stata sottolineata recentemente anche nel corso dello svolgimento degli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia” anche se qualche piccolo miglioramento sembra intravedersi anche se non a breve bensì nel prossimo triennio.

Il rapporto Assonime-Emittenti Titoli, infatti, spiega che le 262 società oggetto di indagine “hanno complessivamente 2.728 consiglieri: 2.546 uomini e 182 donne (pari al 6,7% del totale), dato, quest’ultimo, in continuo, lieve aumento (erano 169 nel 2010, 125 nel 2006). “Una rappresentanza femminile – si legge nella sintesi dei risultati del rapporto – è presente nei CdA di 132 società, ossia, per la prima volta, in oltre la metà degli emittenti (era il 46% del totale nel 2010, il 34% nel 2006). Solo 27 società hanno un CdA già in linea con la quota “di genere” di 1/5 prevista in fase di prima applicazione della legge 120/2011 (c.d. delle “quote rosa”); il numero di emittenti già in linea con il requisito “a regime” di 1/3 è pari a 6″.

Nel rapporto, però, si legge che, con l’applicazione totale della suddetta legge, si prevede che “il numero minimo di donne da inserire sarà pari a 469 al primo rinnovo e ad ulteriori 351 al secondo rinnovo. In presenza di numeri “piccoli” (qual è quello dei consiglieri) la scelta di fissare un requisito minimo in termini percentuali (con arrotondamento all’unità superiore) produrrà, anzi, una rappresentanza femminile ancora più alta, pari al 24,6% (anziché al 20%) al primo rinnovo e al 37,5% (anziché al 33,3%) in seguito. Ne consegue un turnover forzato dei consiglieri maschi pari al 32% in un triennio”.