Sono un esercito silenzioso e trascurato dalle (poche) riforme occupazionali, ma costituiscono una folta schiera di contribuenti che, pur di rimanere sul mercato del lavoro, hanno dovuto trasformare la propria posizione da lavoratori dipendenti a lavoratori autonomi, spesso con l’apertura di una partita IVA, utilizzata prevalentemente nei confronti di un solo fornitore di commesse o di progetto.
L’esercito di cui sopra, costituito da centinaia di migliaia di lavoratori “parasubordinati“, rischia di essere ulteriormente dimenticato dall’attuale revisione del sistema occupazionale italiano. La ristrutturazione delle forme contrattuali (invero, l’unica finalità sulla quale tutte le principali parti sociali sembrano essere d’accordo), non è ancora ben chiaro in che modo potrà essere attuata, e il timore concreto è che la posizione di debolezza negoziale dei parasubordinati possa continuare a consolidarsi anche nel corso dei prossimi anni.
Stando a quanto affermato dall’Isfol (l’Istituto per los viluppo della formazine professionale), in Italia sarebbero circa 676 mila i lavoratori a progetto (prevalentemente under 40), che non hanno un altro lavoro: in altri termini, si tratterebbe di una gamma di lavoratori sostanzialmente dipendenti, che le aziende mascherano tuttavia da lavoratori autonomi, al fine di evitare il salasso sui contributi previdenziali e sulle maggiori retribuzioni da corrispondere.
Stando alle analisi Isfol, nel 2010 in Italia risultavano circa 1,4 milioni di lavoratori parasubordinati, con una quota rilevante (il 47%) di assunti con un contratto a progetto, a fronte di un reddito inferiore ai 10 mila euro l’anno. Il 58% di questi è di sesso maschile, e percepisce mediamente uno stipendio più elevato di quello delle donne.
Ancora, contrariamente a quanto previsto dalla normativa sul lavoro di tale categoria, il 70% dei collaboratori sarebbe stato costretto a garantire la propria presenza sul posto di lavoro, il 67% ha concordato un rigido orario giornaliero, mentre il 71% utilizzerebbe nello svolgimento della prestazione dei mezzi e degli strumenti di proprietà dell’azienda con cui collabora. Sintomi che celano in maniera piuttosto evidente la posizione di dipendenza sostanziale.
Ma come risolvere il problema nell’ottica dell’imminente riforma sul lavoro? Ciò che sembra scontato, è la richiesta delle parti sindacali di introdurre un salario minimo al di sotto del quale non sia consentito stipulare contratti di lavoro parasubordinato, impedendo inoltre di ricorrere al lavoro subordinato in caso di mansioni esecutive. Sarà sufficiente?