Stipendi top manager: Italia al 5° posto in Europa

di Andrea Barbieri Carones

5 Dicembre 2012 09:00

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Secondo una classifica europea, i top manager italiani delle principali aziende quotate in Borsa sono al quinto posto per l'entità dello stipendio.

Non se la passano male i top manager delle principali grande aziende italiane quotate in Borsa: una classifica stilata a livello europeo li colloca al quinto posto in termini di stipendi percepiti. La media nazionale degli executive, infatti, quadagna 3,3 milioni di euro l’anno, con punte naturalmente in alto e in basso che comunque sono diametralmente opposti a quanto percepiscono i dipendenti che, in base a una statistica effettuata dall’Ocse in aprile, sono tra i meno remunerati situandosi al 23° posto su 43 Paesi in lizza.

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I dati sugli stipendi dei top manager, derivanti da uno studio effettuato dalla società di ricerche Expert Corporate Governace Sercvices (Ecgs) e relativi al 2011, contengono sia gli emolumenti fissi sia quelli variabili come bonus, premi produzione e gratifiche. Sotto la lente i vertici delle 400 maggiori società quotate nei listini del Vecchio Continente.

La cosa curiosa è che la posizione in classifica dell’Italia sia tra le più elevate nonostante la fase congiunturale collochi il Paese molto indietro a livello di PIL. Ma non solo: gli executive della Penisola si collocano subito dietro ai loro “colleghi” spagnoli, altra economia che sta perdendo fatturato oltre che posti di lavoro.

I super dirigenti italiani inclusi nel gruppo sono 38: il più pagato è risultato Marco Tronchetti Provera, a cui la Pirelli ha versato 22 milioni di euro. Altra cosa singolare che riguarda i “boss” italiani è che quasi sempre – a fine mandato – ricevono trattamenti economici da fare invidia ai migliori allenatori di calcio europei e nordamericani, dove Cesare Geronzi di Generali ha perceputo un tfr da 16 milioni di euro.

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Molto di più di quanto ha guadagnato il 38° top manager italiano, Michele Buzzi di Unicem, che nel 2011 si è messo in tasca “appena” 310mila euro. Con questo atteggiamento, le grandi aziende italiane disattendono 2 raccomandazioni dell’Unione europea e del Financial Stability Board: una del 2009 e una del 2010, chiedevano di rivedere in senso restrittivo le politiche sul trattamento economico di fine rapporto.