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La sindrome da burnout

di Anna Fabi

Pubblicato 15 Luglio 2013
Aggiornato 9 Settembre 2019 09:13

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Una ricerca della rivista BMC Psychiatry mette in luce come i più esposti al rischio burnout siano i sottoutilizzati.

Il rifiuto del lavoro, la rabbia mista alla depressione e alla stanchezza cronica. Questi i segnali che fanno comprendere che si sta attraversando una fase di burnout, ovvero un vero e proprio rifiuto del lavoro condito da un’insoddisfazione che alla lunga può portare a conseguenze nefaste. Uno studio della rivista BMC Psychiatry mette in lucei profili dei professionisti più esposti a questo tipo di sintomi.

Innanzitutto vanno incontro al burnout i frenetici, ovvero quelli che arrivano a superare le 40 ore di lavoro a settimana e che mettono il lavoro davanti a qualsiasi delle loro altre esigenze. Quindi, devono stare attenti a non esagerare i consumati, ovvero quanti non cambino lavoro da qualcosa come quindici anni, ormai vittime di una monotonia quotidiana difficile da spezzare, ma anche i sottoutilizzati, la figura segnalata come la più esposta in assoluto ai rischi del burnout, ovvero coloro che non hanno sbocchi di carriera e si barcamenano con mansioni al limite della noia e della ripetitività.

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E se da un lato l’azienda può adoperarsi per alimentare per quanto possibile il senso di squadra all’interno, e per motivare e coinvolgere al meglio tutta la propria forza lavoro, in alcuni casi è solo il lavoratore che può tentare di dare una svolta alla sua situazione, ponendosi degli obiettivi o obbligandosi a variare la routine quotidiana.

La ricerca mette in guardia non solo i dipendenti, spesso messi in condizione di sentirsi utilizzati al minimo delle loro possibilità, ma anche i professionisti tutti, quando non siano motivati al raggiungimento degli obiettivi preposti, ovvero quando tentino di raggiungere il risultato con il minimo sforzo. Una sana dose di entusiasmo è la cura migliore, in entrambi i casi.