I rapporti che si creano negli ambienti di lavoro sono sempre molto delicati, in primis quello con il proprio datore di lavoro.
Offendere il capo non porta al licenziamento
Il datore di lavoro, proprio per la figura professionale che ricopre, deve mantenere un comportamento più serio e distaccato, per un dipendente però alcuni comportamentei possono provocare delle conseguenze. È importante però precisare che il capo non deve sfruttare il suo ruolo solo per comandare e trattare male i propri dipendenti, dall’altra parte anche i lavoratori devono devono sapere distinguere tra professionalità e maleducazione. Tutto questo per arrivare ad analizzare i litigi, gli insulti e le varie conseguenze, tra queste il licenziamento. Ci sono situazione nel quale l’azienda può licenziare un dipendente che non rispetta le regole stabilite dal tipo di contratto di lavoro, in altri casi però non è possibile attuarlo, tra questi gli insulti al proprio datore fuori l’orario di lavoro.
Una parola di troppo
Come chiarisce la Corte di Cassazione insultare il capo fuori dal turno lavorativo non può essere causa di licenziamento per insubordinazione. Anche se il comportamento può essere causa di richiami dal punto di vista disciplinare, il licenziamento non è legittimo. Specificando che per poter parlare di insubordinazione precisa la Cassazione “è necessario che la reazione del dipendente si inserisca in un contesto aziendale e sia causa proprio delle direttive impartite dal datore di lavoro; al contrario, la lite che avviene nella pausa pranzo o caffè, oppure prima che il turno inizi, è ancora al di fuori dal rapporto lavorativo vero e proprio”. Infine si può dire che questa conclusione avviene perché per legge i vincoli gerarchici tra le persone non si estendono anche al di fuori dell’orario di lavoro, per questo non si può licenziare per problematiche fuori l’orario di lavoro.