Crisi e investimenti, gli esempi di tre guru americani

di Barbara Weisz

2 Luglio 2009 10:00

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George Soros, Warren Buffet e Paul Volcker escono a testa alta da una crisi che istituzioni, luminari accademici, magnati della finanza non avevano previsto. Charles Morris, avvocato ed ex banchiere, narra le loro storie

«Soros metteva in guardia dalla crescita della superbolla già sul finire degli anni ’90. Buffett lanciava l’allarme sugli eccessi dell’ingegneria finanziaria solo qualche anno dopo. Le preoccupazioni di Volcker sono di vecchia data, benchè non le abbia rese pubbliche mentre il suo successore alla presidenza della Federal Reserve, Alan Greenspan, era ancora in carica». Charles Morris, avvocato, ex banchiere e autore di best seller, descrive così l’atteggiamento che i tre guru della finanza americana hanno avuto di fronte a una crisi che ha colto di sorpresa istituzioni, magnati della finanza, luminari accademici.

George Soros, Warren Buffet e Paul Volcker sono i protagonisti del suo ultimo libro, “Idee per un’economia responsabile”, che non è, come potrebbe sembrare dal titolo, un trattato sugli scenari futuri ma, più semplicemente, la storia dei tre vecchi saggi e delle loro carriere.

Soros e Buffet, definiti «fra gli investitori di maggior successo della storia», hanno approcci quasi opposti. Il primo «è il predatore globale, dotato di una sensibilità felina per ogni minima minaccia all’armonia del flusso economico. Compra e vende rapidamente e voracemente materie prime, valute, azioni, obbligazioni, ovunque ci siano opportunità». È un uomo di mercato che non crede nelle teorie, anche le più utili, come guida pratica all’investimento. Soprattutto in un clima come quello attuale, ritiene opportuno «limitare la portata e rallentare la corsa delle innovazioni finanziarie».

Buffett «ha il classico fiuto per gli affari. Conduce indagini approfondite, compra piuttosto raramente e tende a mantenere le sue posizioni per molti anni». È un seguace della teoria di Benjamin Graham e David Dodd, autori di “Security Analysis”, pubblicato nel 1934, uno dei testi sugli investimenti più famoso del mondo. Sulla strategia di investimento di Berkshire-Hathaway, nel 1994, diceva: «Pensiamo che sia una follia rinunciare all’acquisto di azioni in un’eccellente società il cui futuro a lungo termine è prevedibile, solo perchè nel breve periodo ci si preoccupa di un’economia o di un mercato azionario che sappiamo essere imprevedibile».

Volcker non è un investitore, ma un banchiere, ex presidente della Fed. «Se ci fosse un premio Nobel per i servizi governativi», scrive Morris, il suo nome «sarebbe fra i primi della lista». Nell’aprile del 2008 ha parlato della crisi all’Economic Club di New York: «il luminoso nuovo sistema finanziario, con tutti i suoi geniali partecipanti, con tutte le sue lucrose ricompense, non ha superato il test del mercato».

A gennaio il Group of Thirty, da lui guidato, ha pubblicato una proposta di riforma per la regolamentazione finanziaria che mira a una maggior trasparenza e coerenza delle agenzie istituzionali per migliorare la capacità di intervento in caso di crisi. Morris fa notare come si tratti, quasi sempre, di raccomandazioni che non hanno bisogno di nuovi interventi legislativi, ma di consigli estremamente documentati e precisi, caratterizzati da praticità e umiltà. Dunque tre protagonisti molto diversi ma c’è un elemento che, secondo l’autore, li accomuna: «incarnano ciò che i romani chiamavano virtù», ovvero «fermezza, coerenza, rettitudine. J.P. Morgan lo definiva carattere». Una «corenza morale che non equivale a una cieca adesione al dogma, ma comporta ponderatezza, discernimento e buon senso».

Il Wall Street Journal, racconta Morris, tempo fa ha pubblicato una classifica dei 50 massimi specialisti in previsioni economiche degli Stati Uniti in base all’accuratezza delle loro stime sulla crescita del pil dal quarto trimestre 2007 all’analogo periodo 2008 e sul tasso di disoccupazione del 2008. La variazione del prodotto interno lordo nell’anno considerato è stata negativa, -0,8%.

Ebbene, se la situazione non fosse così seria, verrebbe da ridere. Perchè c’è un solo superesperto che si era avvicinato, con una stima di -0,4%, ovvero Jan Hatzius di Goldman Sachs. Tutti gli altri avevano previsto una crescita, con un ritmo che andava dal 2% al 5%. La disoccupazione ha registrato un 6,9%, mentre tutti avevano stimato un dato migliore: la previsione più vicina al dato reale era un 6,2%, seguita da un 5,2%, mentre la più ottimistica era un 4,3%.

Riassumendo: delle 102 previsioni su questi due dati, 101 sbagliano nella stessa identica direzione. «È significativo che ogni crisi sia stata preceduta da un decennio in cui gli esperti erano quasi sempre d’accordo sulle azioni da intraprendere per gestire l’economia», scrive Morris, ricordando il consenso keynesiano che ha preceduto la Grande Inflazione degli anni ’70 e le teorie dei “Nuovi Classici” della scuola di Chicago messe in discussione dall’attuale scenario.