Il cliente e la banca: come è cambiata la relazione in virtù di una maggiore innovazione
La rivoluzione digitale e l’innovazione tecnologia hanno avuto un impatto molto forte non solo sul modo di offrire i servizi alla clientela da parte delle banche, ma anche sul modo di relazionarsi della banca con i clienti. Sono numerose le tecnologie oggi impiegate dalle banche per entrare in contatto con la clientela e soddisfare le richieste di un pubblico sempre più esigenze in termini di disponibilità dei servizi, di mobilità di accesso, di possibilità di utilizzare diversi canali integrati tra di loro – filiale, Bancomat, dispositivi self-service e self-service assistito, canali digitali come il mobile & l’internet banking.
Sulla scia di un impiego sempre più spinto della tecnologia da parte delle banche, le aspettative dei clienti sono cambiate e se sicuramente dalle generazioni più giovani emerge una maggiore accettazione e stimolo verso la digitalizzazione, siamo ancora in una fase “ibrida”, in cui i servizi tradizionali devono per forza integrarsi con il mondo digitale. L’approccio di una consulenza “ibrida” è il trend che maggiormente caratterizza la realtà italiana: una recente ricerca di PWC (1) mette in evidenza che il 40% degli intervistati si è dimostrato favorevole all’adozione di servizi di consulenza totalmente automatizzati e guarda con interesse all’innovazione rappresentata dai robo advisor, mentre il 34% predilige i servizi multicanali ed è soddisfatto dagli attuali servizi bancari di cui usufruisce ma si aspetta che la consulenza finanziaria sia erogata attraverso canali digitali e non solo attraverso relazioni “fisiche”. Un quarto del campione intervistato (26%) preferisce invece i modelli tradizionali di consulenza, legati alla relazione diretta con il consulente. Un recente studio di Boston Consulting (2) conferma questa tendenza con il 20% dei clienti italiani che preferisce un approccio personale dal vivo, a differenza di un 28% che interagisce unicamente su canali digitali, mentre la maggioranza (il 52%) predilige un approccio misto.
La tendenza di seguire un modello ibrido – adottando soluzioni digitali combinate con il contatto umano – ad oggi può risultare vincente dal momento che permette di conciliare la forte spinta verso la digitalizzazione dei servizi a “basso valore aggiunto” con la capacità di fornire consulenza e professionalità ai propri clienti su questioni più complesse e delicate. Tutto ciò, questa trasformazione digitale che ha investito le banche e ha modificato la capacità e le modalità di soddisfare le esigenze dei clienti – dai millennial ai clienti più tradizionali – ha ovviamente portato le banche a rivedere i processi interni, le figure professionali e le loro competenze, ma anche le metodologie di lavoro.
L’impatto sulle metodologie di lavoro in banca
Prima di tutto, parliamo di competenze: con l’evoluzione tecnologica in atto, cambiano le professioni in banca e le competenze evolvono. Essere consulenti oggi in banca significa essere in grado di fornire un supporto ad alto valore aggiunto, dal momento che sempre di più le operazioni di “basso profilo” o dove l’essere umano non apporta nessun “valor aggiunto” sono completamente o semi-automatizzate e svolte attraverso soluzioni tecnologiche evolute. Significa inoltre avere un approccio orizzontale: si passa infatti da un approccio tradizionale a “silos”, dove un tempo team diversi svolgevano attività ben definite a secondo del canale di relazione con il cliente, all’approccio odierno adottato dalle banche innovative, che prevede una maggiore integrazione delle competenze grazie a cui i consulenti – per citare un esempio – hanno una visione più completa dei servizi offerti e delle dinamiche lavorative, ma anche della profilazione della clientela, per una strategia realmente omnicanale. Per questo motivo le banche cercano oggi sempre più spesso figure polivalenti, in grado di adattarsi a un settore che cambia rapidamente, indispensabili per accompagnare la trasformazione digitale delle banche e rispondere alle aspettative dei clienti.
Le competenze richieste e le figure emergenti
La necessità di competenze trasversali riguarda ormai tutte le figure presente in banca – dal marketing al supporto e consulenza verso la clientela. Indipendentemente dalla funzione, è richiesta un’ottima capacità di analisi, di reattività e pro-attività. In aggiunta, si privilegiano persone con doti relazionali cosiddette “miste” (sia a distanza che “face to face”), con un alto livello di autonomia e di mobilità, oltre alla necessaria conoscenza degli strumenti tecnologici.
In queste nuove realtà acquista sempre più importanza la figura del Chief Data Officer, il cui compito – governare i dati, elemento chiave nella relazione banca / cliente, e assicurarne il corretto utilizzo – risulta strategico vista l’importanza che i dati rivestono per far crescere il business ed essere maggiormente competitivi. Si tratta di figure professionali nuove, che sappiano valorizzare i dati intesi come asset strategico aziendale, e che possiedano un insieme di competenze tecniche, di business e soft skills. Queste persone, insieme ai Data Scientist (figura professionale interdisciplinare che ha il compito di estrarre informazioni dai dati, identificando opportunità di business) iniziano ad essere abbastanza diffuse all’interno del mondo banking, a conferma di una maggiore maturità e consapevolezza da parte delle banche delle opportunità che l’analisi e la gestione dei dati può abilitare.
I processi all’insegna dell’agilità
Accanto alle competenze, non possiamo poi dimenticare l’impatto della digitalizzazione sui processi e sulle metodologie di lavoro: anche in banca si parla sempre di più di metodologie e tecniche di project management AGILE e SCRUM, particolarmente adatte a contesti e progetti fortemente rivoluzionari, che combinano l’esecuzione di attività, con un alto livello di innovazione continua e di interazione tra i soggetti coinvolti. La banca, un ambiente tradizionalmente poco incline all’agilità – per limitazioni dovute a regolamentazioni e paradigmi di sicurezza, ma anche per l’organizzazione fortemente gerarchica che la caratterizza – deve necessariamente affrontare la trasformazione digitale facendo leva sull’agilità. Perché le metodologie agili permettono di sperimentare servizi innovativi, ridurre il time-to-market di nuovi soluzioni e prodotti, trasformare la relazione con il cliente.
Un cambiamento culturale che investe tutta la banca
È infatti in atto un cambiamento culturale nel mondo bancario che si prospetta profondo e necessita di essere ben assimilato: per poter fare in modo che la banca possa rispondere ai significativi mutamenti che l’innovazione tecnologica ha portato nella nostra società. Non bastano le competenze tecniche per utilizzare gli strumenti tecnologici più all’avanguardia. Occorre affrontare le principali questioni culturali dell’avversione al rischio, della mancanza di centricità del cliente e dei processi a compartimenti stagni; e costruire il proprio approccio sulla volontà di migliorare la relazione banca/cliente. Solo grazie a questo concetto di base, sarà possibile fare leva sull’innovazione per far crescere il proprio business. La tecnologia da sola non è sufficiente, serve un’apertura al cambiamento che si concretizza in nuove competenze e nuove metodologie di lavoro. Come recentemente messo in luce da una ricerca di Mc Kinsey (3), le tecnologie digitali hanno appena cominciato a diffonderei nel settore bancario: la potenza delle tecnologie digitali non è ancora diventate mainstream (è solo al 40% delle sue potenzialità), e il suo impatto sulle opportunità di crescita, con la velocità di cambiamento che comporta, sarà stravolgente. Solo chi sarà in grado di cavalcare questa trasformazione – sotto tutti i punti di vista – potrà beneficiare dei vantaggi che l’innovazione tecnologica è in grado di garantire.
L’elemento umano resta un fattore essenziale nel processo di digitalizzazione della banca: è sempre l’essere umano che agisce per favorire l’automatizzazione di certi servizi. E non dimentichiamoci che è dall’essere umano che l’algoritmo alla base della tecnologia è stato concepito. Pensiamo per esempio all’Artificial Intelligence, che alcuni casi trova già impiego nei servizi bancari: essa permette al consulente di focalizzarsi di più sui servizi a valore aggiunto alla clientela, ma è comunque sempre l’uomo che definisce il coinvolgimento della “macchina” – la sua capacità di apprendimento della relazione con i clienti, la capacità di comprendere i toni e le modalità delle interazioni, la capacità di gestire enormi volumi di dati per guidare e indirizzare le ricerche. Il cambiamento culturale all’interno della banca è quindi fondamentale, perché solo partendo da questo presupposto – dalla necessità di stimolare un approccio nuovo, dove l’elemento umano e l’elemento tecnologico interagiscono – potremo davvero parlare di quello che sarà la banca del futuro.
Per questo motivo siamo convinti che le nuove tecnologie come chatbot e robo advisor di cui tanto si parla non sostituiranno la presenza fisica del consulente e la relazione umana: la complementarietà tra uomo e tecnologia, all’insegna di una coerenza di servizio rivolto ai clienti, è l’elemento che caratterizza la Bank (R) evolution.
Antonella Comes, Chief Marketing Officer di Auriga
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(1) Secondo la ricerca PwC condotta con il supporto di CETIF (Università Cattolica di Milano) https://www.adviseonly.com/blog/investire/fintech/si-fa-presto-a-dire-roboadvisory-diversi-modelli-a-confronto/
(2) Ricerca del Boston Consulting Group “Global Retail Banking 2017 Accelerating Bionic Transformation” pubblicata a Luglio 2017 : https://www.bcg.com/publications/2017/financial-institutions-global-retail-banking-2017-bionic-transformation.aspx
(3) Ricerca di Mc Kinsey Agosto 2017: http://www.mckinsey.com/business-functions/digital-mckinsey/our-insights/culture-for-a-digital-age