Mentre in Commissione Trasporti è stata approvata la mozione bipartisan con richiesta di sbloccare i fondi per la banda larga nella prossima seduta del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), non ci si può non domandare: che fine hanno fatto i soldi, oltre agli slanci programmatici pre-congelamento dei famosi 800 milioni per colmare il digital divide in Italia? Quanto ci vorrà perché utenti e aziende abbiano la possibilità di usufruire di connessioni veloci?
Piano nazionale
Non è semplice mettere ordine nel caos generato dalla vicenda: è una vecchia storia tutta italiana, ma si può provare ad analizzarla partendo dalle dichiarazioni contrastanti rilasciate dagli stessi esponenti di governo.
Se da un lato Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, afferma che degli 800 milioni non c’è più traccia, dall’altro il viceministro per le Comunicazioni, Paolo Romani, sostiene che i fondi ci sono e solo e che per il momento arriveranno i primi 250 per avviare i primi lavori.
Se Letta e Romani rilasciano dichiarazioni opposte, è semplicemente perché parlano di cose diverse: il sottosegretario fa riferimento agli 800 milioni preannunciati ma poi mai approvati dal CIPE; il viceministro fa riferimento a ulteriori fondi, già stanziati e che insieme agli 800 milioni formavano un più ampio e articolato Piano da 1,47 miliardi di euro, che ha l’obiettivo di connettere in fibra ottica le centrali Telecom inadeguate per offrire banda larga visto che la copertura del territorio nazionale con accessi a Internet a velocità superiori a 1 megabit/sec resta al di sotto della media europea.
I 200 milioni citati da Romani fanno parte della dotazione di Infratel Italia SpA – Infrastrutture e Telecomunicazioni, ai quali vanno aggiunti circa 50 milioni finanziati dalle Regioni.
Si tratta di dichiarazioni che hanno messo in luce contrasti tra posizioni diverse: Confindustria e imprese lamentano l’insufficienza della banda larga e ne sottolineano l’importanza per la crescita economica, mentre Telecom Italia rileva l’assenza di richiesta per la banda larga stessa.
Difficile dire chi abbia ragione: è certo che la situazione sembra a tutti confusa, figlia di una grande disorganizzazione e in particolar modo dell’assenza di una regia efficiente.
Modelli locali
C’è di positivo che questi fondi non rappresentano l’unica risorsa a disposizione per superare il problema del digital divide: ci sono 350 milioni di euro previsti dall’Unione Europea per colmare il divario digitale nelle zone rurali.
E già iniziative regionali come quella dell’Emilia Romagna hanno messo in moto alcuni investimenti: nel 2007 la regione ha firmato un accordo con il Ministero delle Comunicazioni per lo sviluppo della banda larga, a cui doveva seguire la “convenzione operativa” con Infratel, firmata solo quest’anno. Ora si potrà passare finalmente alla fase operativa.
Infratel stanzierà 15 milioni, la regione 5 mln e l’Unione Europea 8,3 mln per posare e attivare 770 chilometri di fibra ottica nuova e prendere in affitto i 190 già posati da Lepida, la rete a banda larga dell’Emilia Romagna.
Si tratterà quindi di un modello multiproprietario, all’interno del quale l’intera struttura non farà capo solo a Telecom Italia. Un modello che per ora sembra funzionare efficientemente: lo scorporo o il gestore unico non sono necessari, anzi si può procedere anche in ordine sparso visto che c’è la possibilità di affittare in un secondo momento la fibra ottica a terzi.
Progetti ibridi
In Emilia Romagna i lavori sono già partiti e dovrebbero concludersi entro due anni: 172 centrali Telecom oggi servite solo in rame saranno collegate in fibra ottica e si passerà da Internet a 56 Kb al secondo alla banda larga. Purtroppo altre 180 centrali resteranno fuori dall’intervento e non saranno in grado di offrirà banda larga ai loro utenti ma solo connessioni a 640 Kb al secondo.
In più sarà necessario che gli operatori – Telecom, Wind, Fastweb, Tiscali ecc. – installino dei DSLAM (Digital Subscriber Line Access Multiplexer) multiplatori di linea di accesso numerica che garantiscono ciascuno una banda minima di 64 kbit/sec. e che con 1000 porte tipicamente fraziona 64 megabit/sec fra 1000 utenti.
A questo punto bisognerebbe risolvere un terzo problema legato alla distanza: se un cliente è a più di 2 chilometri dalla centrale non riesce comunque ad avere la banda larga. Una soluzione sarebbe attivare il wireless, lo si può fare rapidamente e a basso costo: o attraverso le Hyperlan su frequenze libere o il WiMax su frequenze già assegnate.
Tornando all’esempio dell’Emilia Romagna, infatti, Lepida sta coprendo le zone di montagna dove abitano complessivamente 150 mila persone, quasi il 4% della popolazione emiliana. Il funzionamento è semplicissimo: Lepida avanza di ponte radio in ponte radio in tecnologia Hyperlan piantando pali e antenne dalla centrale telefonica più vicina fino al paese e connette così ogni comune alla propria fibra ottica.
Allo stesso tempo offre agli operatori privati la possibilità di usare gli stessi pali per mettere le loro antenne e portare banda larga agli utenti privati dagli stessi Comuni. Se ne stanno realizzando diverse con fondi che non interessano gli 800 milioni “incriminati”, ma con i fondi statali che il Cipe ha approvato tra il 2004 e il 2006, e con 1,4 milioni della Regione più un milione da parte di Provincie e Comini. In totale si tratta di circa 4,3 milioni per collegare via wireless 150 mila persone che abitano piccoli comuni montani.
Gli investimenti arrivano anche dai privati, e non si tratta né di Telecom Italia o Fastweb né di Wind ma delle grandi municipalizzate della zona: Hera, Acanto, Enia insieme ai piccoli operatori locali.
Banda larga e imprese
Bisogna sottolineare che non esiste un vero censimento: in tutto il Paese nessuno sa quante siano le reti wireless attive e dove si debba intervenire per colmare il digital divide. Spesso non è semplice individuare dove investire, bisogna studiare il contesto e raccogliere dati.
Il problema è che il divario digitale, a sospresa, è spesso presente anche nelle grandi città: a Roma, per esempio, ad appena 2 chilometri oltre il Grande Raccordo Anulare sulla via Laurentina ci sono imprese che non hanno l’Adsl. Facile immaginare come tutto ciò penalizzai il tessuto di piccole e medie imprese locali, in quanto rallenta numerosi processi, indebolisce il sistema produttivo e la crescita economica.
Nel frattempo avanzano le nuove reti wireless del WiMax: al livello nazionale sono state installate 200 antenne in grado di servire un bacino di 3,5 milioni di utenti. Ma anche questo non è stato registrato e perciò non risulta rappresenta un dato significativo perché non computabile.
Probabilmente sarebbe più opportuno raccogliere a monte informazioni su quello che è stato già fatto, per utilizzare le risorse già scarse in maniera più scientifica. In attesa di poter disporre di dati aggiornati, a giugno 2008, secondo l’Osservatorio Banda Larga, le imprese che disponevano di un collegamento a banda larga erano circa 2 milioni (poco più della metà del totale), nel 100% delle imprese medio grandi e nel 40% delle piccole imprese.
Tutta l’attenzione oggi è concentrata sugli 800 milioni che dividono i ministri, anche quella delle imprese del settore telecomunicazioni che sperano nelle grandi commesse di Telecom o dello Stato, trascurando piccole fette di mercati locali, che pure sarebbero importantissime se analizzate in una visione di insieme, vista l’elevata richiesta di banda larga.
Una domanda che continua a non trovare risposta e che proviene anche dalle imprese italiane, che vedono in questo sviluppo un fattore strategico per la loro competitività.
Come ha di recente sottolineato in Brasile il ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola, grazie ai lavori per la diffusione della banda larga si creerebbero 33mila cantieri che darebbero lavoro a 50 – 60mila nuovi addetti. Si tratterebbe dunque di piccoli cantieri gestiti da Pmi o associazioni temporanee, che darebbero nuova linfa ad imprese spesso in affanno.
Oggi l’accesso alla banda larga è ritenuto un volano per uscire dalla crisi. Esiste la necessità di fare rete in modo da aumentare il livello di competitività: da un lato rappresenta una modalità di presentazione dell’azienda verso l’esterno (clienti, fornitori, partner e competitor) e dall’altra favorisce la diffusione e l’impiego di applicativi di gestione e di controllo interni più efficaci.
Stiamo dunque assistendo ad una sorta di traslazione dei processi che segnano la vita delle aziende in una dimensione digitale, ma ciò non può ancora realizzarsi compiutamente se il 20% del territorio italiano non è coperto da questa tecnologia! Senza le infrastrutture necessarie al superamento del digital divide la crescita delle imprese in un periodo di forte recessione come quello che stiamo vivendo, sarà più lenta e difficile.