Le piccole aziende hanno molto da imparare da una grande azienda che, in questo momento, sta attraversando un momento di incredibile difficoltà a causa del clamoroso incidente ormai noto come “marea nera”, che ne sta minando non solo l’immagine ma le stesse basi economiche. Ragionare di Pmi partendo dalla British Petroleum può sembrare un paradosso, ma così non è: trattasi infatti di una case history di innegabile importanza dalla quale emerge tutto il potere della web reputation, l’importanza di approntare investimenti adeguati in rete e la necessaria elasticità di reazione di fronte a sciagure come quella del Golfo del Messico.
Le conseguenze della macchia di petrolio sono sotto gli occhi di tutti giornalmente: l’esplosione, la perdita, l’inquinamento, l’ira di Obama e le prime inutili operazioni di recupero. La British Petroleum in questo frangente sta cercando di salvare il salvabile e per ottenere ciò sta operando anzitutto un forte sforzo per salvare la propria immagine circondandola di costruttiva solidarietà invece che di feroce odio.
Quel che trapela, addirittura, è che nei giorni passati l’azienda avrebbe investito fino a 10 mila dollari al giorno per acquistare le pubblicità su Google, Yahoo e Bing relative alle keyword “oil spill”, “Gulf oil spill” ed altre formulazioni correlate: 10 mila dollari al giorno, dunque, sottratti alle operazioni di recupero ed ai risarcimenti, ma portati sui motori di ricerca per inserire in cima alle rispettive pagine un link che rimanda al sito della British Petroleum contenente tutte le notizie ufficiali sul caso.
In questo investimento si completa il disegno dell’azienda, nel nome della responsabilità d’impresa: la creazione di un sito informativo è stata la prima mossa. Corredarlo di immagini in cui si ripuliscono spiagge relativamente pulite (da parte di volontari in divise colorate, mare blu e cielo limpido), il tutto in una atmosfera di relativa serenità, è stato il secondo passo. Creare appelli per coinvolgere l’utenza attorno agli sforzi della BP è stato il terzo tassello. L’ultimo pezzo mancante era quello dell’azione di marketing per fare in modo che gli utenti alla ricerca di informazioni potessero giungere sul sito BP prima che su siti con immagini, testi ed approccio ai fatti ben differente.
Toby Odone, portavoce BP, ha confermato l’investimento: 10 mila dollari al giorno, però, motivati dall’azienda con la necessità di consegnare all’utenza informazioni puntuali ed affidabili. Leggasi: per imporre una versione dei fatti edulcorata, “ripulita” e finalizzata ad ottenere come feedback un atteggiamento solidale e costruttivo.
Questa è la web reputation nella sua applicazione reale: l’identificazione di un problema, lo sfruttamento della rete per far passare al mondo un messaggio, la capacità di occupare gli spazi con la propria comunicazione per evitare che gli spazi stessi siano occupati da messaggi rivali e potenzialmente pericolosi.
Gli esperti della comunicazione sostengono che il silenzio non sia una assente comunicazione, ma sia comunicazione di per sé. Il silenzio non può essere una opzione passiva, quindi: per una piccola azienda più che per una grande multinazionale, l’attenzione alla realtà circostante è un elemento di imprescindibile importanza ed una adeguata comunicazione con gli attori interessati all’azienda permette di costruire un contesto ed una atmosfera maggiormente benevoli in cui andare ad operare.
Il ruolo della BP è oggi quella di chiudere quanto prima i problemi e, nel frattempo, salvare economicamente il gruppo dal disastro finanziario. Quando la falla sarà definitivamente chiusa inizieranno i processi e questi ultimi saranno svolti per buona parte sui media. In quel frangente, quando l’oblio grava sull’opinione pubblica, il lavoro odierno della BP sulle keyword (per quanto moralmente deprecabile) emergerà con forza assieme alle immagini dei volontari pronti a ripulire spiagge bianche.