L’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia UE per non aver recepito correttamente la direttiva comunitaria sulla discriminazione in materia di occupazione e formazione professionale. Il procedimento d’infrazione (IP/09/1620) è stato avviato perché nel nostro Paese non sarebbero state predisposte adeguate soluzioni per incentivare le imprese a inserire personale diversamente abile.
In particolare, si fa riferimento alla direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione, di condizioni di lavoro e di formazione professionale.
La norma UE non solo proibisce ogni discriminazione basata su religione, convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali, ma sancisce anche un principio di tutela dei diritti fondamentali stabilendo l’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli per i disabili in ogni aspetto dell’occupazione (art. 5), quindi sia per l’accesso al lavoro che per usufruire di progressioni di carriera.
L’Italia non avrebbe trasposto integralmente quest’ultima disposizione, non avendo inserito nel nostro ordinamento nazionale «una norma generale che imponga al datore di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli per i portatori di qualunque tipo di disabilità e per tutti gli aspetti dell’occupazione», ha motivato la UE.
ARTICOLI CORRELATI
- Permessi e disabili: novità per dipendenti e aziende
- Assunzioni agevolate: contratti inserimento, CIGS e mobilità
- Categorie protette: quando scatta l ‘ obbligo di assunzione?