L’utilizzo o la semplice detenzione di programmi software senza licenza all’interno di aziende e studi professionali non è solo soggetto solo a sanzione amministrativa ma è considerato reato.
Il titolare dell’attività è quindi tenuto a rispondere personalmente di violazione penale della legge sul diritto d’autore (art. 171 bis, comma I°, Legge n. 633/194)
A ribadirlo è stata la Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 25104/2008, respingendo il ricorso presentato da un professionista trovato in possesso di versioni non originali di prodotti Adobe System e Symantec.
Il Gup del Tribunale di Lecco gli aveva applicato una pena di 4.000 euro più altri 5.400 euro in sostituzione di quattro mesi di reclusione.
Il professionista sosteneva che non gli si potesse attribuire alcuna responsabilità oggettiva per l’utilizzo di terzi di programmi senza licenza nel proprio studio. Cosa che al massimo poteva essere punita con una sanzione amministrativa prevista per la violazione dell’ art. 174 ter sull’abusivo utilizzo.
Di opinione contraria la terza sezione penale, che lo ha condannando a pagare ulteriori 1.500 euro di spese processuali, precisando che «la detenzione e l’utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale rende manifesta la sussistenza del reato contestato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo».
Inoltre, secondo la modifica della L. n. 248/2000, per la configurabilità del reato non è più previsto il solo specifico fine di lucro ma è sufficiente quello di trarne profitto, determinando un’accezione più vasta che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale e amplia i confini della responsabilità dell’autore.