Update: LEGGI >> tutte le novità sulla riforma delle pensioni 2012, prevista dalla manovra Monti approvata in Consiglio dei Ministri.
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Con la manovra finanziaria, la manovra bis e la Legge di Stabilità, in corso di approvazione, nel 2011 è stato in buona parte riscritto il sistema previdenziale italiano, portando a una vera e propria riforma delle pensioni, con primi effetti dal 2012. Restano sul tavolo questioni calde, come le pensioni di anzianità, che non sono state toccate ma continuano ad essere nell’agenda politica del paese. Vediamo, punto per punto cosa è cambiato e quali sono i provvedimenti ancora allo studio.
Innalzamento età pensionabile a 67 anni
Si tratta di un provvedimento che riguarda tutti, uomini e donne: secondo quando previsto dalla Legge di Stabilità, l’età pensionabile salirà a 67 anni nel 2026, sia nel settore pubblico che nel privato.
Il provvedimento si integra alle norme in vigore sulle finestre mobili, previste dalla manovra finanziaria 2010 e applicate dal 2011. Dunque, ai 67 anni bisogna sommare la propria finestra mobile: dodici mesi di attesa per ricevere la pensione dopo la maturazione dei requisiti minimi per i lavoratori dipendenti, diciotto mesi per gli autonomi.
Inoltre, ai 67 anni bisogna aggiungere l’adeguamento alle aspettative di vita che, secondo la manovra finanziaria di luglio 2011, dovrebbe scattare a partire dal 2013, con tre mesi il primo anno e adeguamenti che scattano poi ogni tre anni. Sarà l’ISTAT, alla fine di ogni anno, a stabilire l’esatto incremento dell’aspettativa di vita. Un calcolo approssimativo può prevedere un adeguamento di 3-4 mesi per ogni triennio.
Fra le misure esaminate ma poi scartate, anticipare al 2012 gli scatti relativi all’adeguamento delle pensioni alle aspettative di vita.
Da sottolineare, in tema di età pensionabile, che la riforma delle pensioni di luglio ha previsto l’innalzamento a 65 anni anche per le donne che lavorano nel settore privato in modo graduale entro il 2032 e la manovra finanziaria bis ha anticipato l’inizio di questa misura al 2014, quando scatterà quindi il primo “mese” (pensione a 60 anni e un mese).
Le pensioni di anzianità
Di fatto, pur fra mille discussioni e dichiarazioni programmatiche, le pensioni di anzianità non sono state toccate (> LEGGI: calcolo delle pensioni con sistema contributivo, retributivo o misto).
In pratica, resta in vigore il meccanismo delle quote, in base al quale bisogna sommare l’età anagrafica e l’anzianità contributiva raggiungendo la quota prevista: mel 2011-2012 scattano la quota 96 per i dipendenti e la quota 97 per i lavoratori autonomi. La quota 96 prevede una soglia minima di 60 anni di età e di 35 anni di contributi (quindi chi ha 60 anni deve avere 36 anni di contributi, mentre bastano 35 anni di contributi per chi ha 61 anni), la quota 97 almeno 61 anni. I requisiti vanno maturati nel periodo che va dal primo gennaio 2011 al 31 dicembre 2012. Dal primo gennaio 2013 scattano la quota 97, con almeno 61 anni, per i dipendenti, e la quota 98 per i lavoratori autonomi.
Fra le misure scartate, l’anticipo al primo gennaio 2012 della quota 97 per i dipendenti pubblici e 98 per gli autonomi.
Pensioni INPS
Secondo il Rapporto Inps 2010, le pensioni di anzianità nel settore privato l’anno scorso sono state 174mila, quelle di vecchiaia 173mila. Le prime sono più numerose al Nord, con 110mila assegni, contro i 31mila dell’Italia centrale e i 32mila del Sud, dove prevalgono invece le seconde: 60mila nel Sud (su un totale di circa 92mila pensionati, quindi due terzi). Per fare un confronto, al Nord gli assegni di vecchiaia nel 2010 sono stati 79mila (su un totale di 190mila).
Le donne rappresentano la parte più consistente delle pensioni di vecchiaia (visto che possono ritirarsi a 60 anni, differenza eliminata con le ultime finanziarie). Nel 2010 le pensioni di vecchiaia femminili sono state 115mila, contro le 57mila degli uomini.
Viceversa, per le pensioni di anzianità prevalgono nettamente fra gli uomini. Nel 2010 nel settore privato si sono ritirati 135mila uomini (età media 58,5 anni per i dipendenti e 59,3 per gli autonomi), mentre le donne sono state 39mila (età media 57,5 anni per le dipendenti e 58,3 per le lavoratrici autonome). Quando alla differenza geografica, nel Nord sono andati in pensione di anzianità 50mila622 uomini (a fronte di 9810 pensioni di vecchiaia) fra i dipendenti e 32mila115 autonomi (a fronte di 9810 pensioni di vecchiaia).
Ad oggi, incide molto la possibilità di andare in pensione a qualsiasi età con 40 anni di contributi: la finestra mobile si applica comunque, ma fra le nuove regole ricordiamo le specifiche limitazioni anche su chi ha 40 anni di contributi: dovrà aspettare un mese in più nel 2012, due mesi nel 2013 e tre nel 2014.
Le pensioni in Europa
Il Rapporto Inps attua anche un confronto sul sistema pensionistico nei paesi europei: l’Italia è l’unico paese in cui c’è ancora la differenza di età pensionabile tra uomini e donne. Quanto alle pensioni di anzianità, sono una caratteristica tutta italiana. Ma vediamo in estrema sintesi le regole in Europa:
- Belgio: pensione a 65 anni per uomini e donne.
- Danimarca: anche qui, 65 anni per uomini e donne, con innalzamento a 67 tra il 2024 e il 2027.
- Francia: l’età è 62 anni, senza differenze di genere, con aumento progressivo di quattro mesi l’anno dal 1 luglio 2011, per arrivare a regime nel 2018.
- Germania: Chi è nato prima del 1947, indipendentemente dal genere, va in pensione a 65 anni. Per i nati dopo il 1947, l’età è di 67 anni con aumento graduale dal 2012 al 2019.
- Regno Unito: la differenza fra uomini e donne nei fatti c’è ancora, ma l’adeguamento è già previsto per legge. Gli uomini vanno in pensione a 65 anni. Per le donne, aumento graduale fino a 65 anni dal 2010 al 2020. E’ poi previsto un aumento a 68 anni per tutti tra il 2024 e il 2046.
- Spagna: Età pensionabile a 65 anni per tutti, aumento graduale fino a 67 anni dal 2018 al 2027.
Pensioni e Fisco
Altro tema caldissimo, la perdita di potere d’acquisto dei pensionati. Secondo un recente rapporto di Fipac-Confesercenti (pensionati attività commerciali), il Fisco si mangia fino a 1700 euro su una pensione di 15mila92 euro, e fino a 1100 su una di 7mila546 euro, sottraendo una quota che va dal 22 al 28% sull’adeguamento all’inflazione (stime 2008-2014).
L’effetto della maggior pressione fiscale (mancato recupero del fiscal drug, ovvero dell’aumento della pensione fiscale in rapporto all’inflazione, più addizionali regionali e comunali) si avvertirà particolarmente nei prossimi anni. Vediamo una simulazione al 2014 su tre livelli pensionistici:
- Pensione pari a 7mila546 euro lordi annui nel 2011. Quest’anno ubisce un prelievo totale pari a 209 euro, mentre fino al 2010 questa pensione era sotto i 7500 euro della no tax area (quindi il prelievo era pari a 0). Nel 1014 questa pensione sarà pari a 7969 euro, e prelievo sarà di 344 euro in tutto.
- Pensione di 11mila319 euro. Subisce una tassazione di 1412 euro. Si tratta di un maggior prelievo di 251 euro rispetto al 2007, che salirà a 391 nel 2014 (sempre in rapporto al 2007). In termini assoluti, sempre in base alla simulazione, questa pensione nel 2014 sarà pari a 11.953 euro e il prelievo fiscale (Irpef + addizionali) sarà di 1617 euro.
- Pensione di 15mila92 euro. La tassazione pesa per 2616 euro, e già quest’anno il maggior prelievo rispetto al 2007 è di 279 euro. Nel 2014 sarà di 424 euro. In termini assoluti, l’assegno del 2014 sarà di 15mila938 euro con un prelievo di 2892 euro.
Come si vede, risultano penalizzate tutte e tre queste pensioni, con una particolare incidenza su quelle più basse.
La pensione di 7mila546 euro, è un assegno di 580 euro al mese. Nella simulazione appena presentata, subisce «un taglio crescente nel tempo che sarà del 4,3% nel 2014, a causa del fatto che esce dal livello della no-tax area, stabilito a 7.500 euro» spiega Massimo Vivoli, presidente di Fipac-Confesercenti, che prosegue: «Attualmente questa pensione non paga Irpef, ma la pagherà già a partire da quest’anno. Le altre due tipologie di pensione subiranno una sforbiciata di circa 2 punti percentuali».
Questo, prosegue Vivoli, in un paese in cui «oltre 8 milioni di pensioni, pari al 50,8% del totale, non arriva a 500 euro al mese», mentre «il 79% delle
pensioni INPS non supera la soglia dei 1.000 euro mensili. Vi è poi un 11,1% che presenta importi compresi tra 1.000 e 1.500 euro mensili» e «solo il 9,9% supera questa soglia di reddito».
La pensione media dei commercianti è intorno ai 707 euro. Nel 2010, continua Vivoli, l’85% delle pensioni dei lavoratori autonomi (poco meno di 4 milioni di pensionati) «sta dentro i 1.000 euro e in particolare il 51% – 2milioni e 400mila persone – non supera i 500 euro. Dati simili riguardano anche i dipendenti, che hanno il 71% di pensioni entro i 1.000 euro».
La proposta Fipac è quella di «ripristinare un meccanismo che neutralizzi il drenaggio fiscale e non applichi a queste pensioni gli aumenti delle addizionali Irpef successive a quelle già vigenti nel 2011. Questo almeno per le pensioni fino a 1.200 euro, ma sicuramente per quelle fino ad 800 euro per le quali si rischia un vergognoso scippo».
Vale la pena di ricordare che la manovra finanziaria 2011 ha stabilito il blocco delle rivalutazioni delle pensioni sopra i 2380 euro al mese, quindi cinque volte il minimo, ma sono state toccati anche gli assegni compresi fra 3 e cinque volte il minimo (dai 1402 ai 2337 euro), che nel biennio 2012-2013 verranno rivalutati al 70%. Si tratta, intutti i casi, di somme più alte rispetto a quelle previste dai calcoli di Confesercenti. In lulgio è stato anche previsto anche un prelievo del 5% (da agosto 2011 a tutto il 2014) sopra i 90mila euro l’anno e del 10% sopra i 150mila euro.