Mario Draghi, governatore della Banca D’Italia, all’assemblea annuale ABI conferma l’allarme diffuso nei giorni scorsi da UnionCamere: le grosse banche non concedono credito alle Pmi, in conseguenza di un innalzamento del rischio sui prestiti alle piccole e medie imprese.
Pur se praticamente più solide, paradossalmente le Pmi vedono dunque peggiorare ancora di più la loro già precaria situazione, in un circolo vizioso teorico che alla fine le penalizza su tutti i fronti.
«Il credito al settore privato rallenta ancora ed è particolarmente intensa la decelerazione dei prestiti erogati dai gruppi bancari maggiori. L’aumento di rischio di credito si è tradotto in un ampliamento del divario del costo del credito tra le piccole e le grandi imprese con effetti negativi per chi oggi ha maggiormente bisogno di accedere al finanziamento bancario», ha dichiarato il governatore di Bankitalia.
La contrazione riguarda sostanzialmente le imprese più che le famiglie, ed è accompagnata anche da peggiori condizioni di credito.
Draghi punta il dito anche sulle banche “sorde” ai tentativi di moral suasion, che finora avevano aggirato le norme anti massimo scoperto: con la manovra d’estate sono state introdotte misure più severe per abolire anche le clausole capestro dietro cui si annidava tale trappola.
Dinanzi al preoccupante scenario, a dire la sua anche il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha proposto una moratoria sulla scadenza dei crediti verso le imprese e che, su ispirazione della nuova enciclica papale sulla Finanza etica, ha auspicato «regole in economia, che non soffochino il mercato, ma che siano etiche e morali».
Sulla volontà di guardare avanti con fiducia si è poi espresso il presidente ABI Corrado Faissola che, nella sua relazione introduttiva ha cercato di porre l’accento sulla necessità di proficue sinergie tra Governo, banche e associazioni imprenditoriali in un “gioco di squadra” in grado di consentire alle Pmi di poter tornare a investire. E sopravvivere.