Il mercato italiano del Private Equity cresce ancora.
Nonostante le incertezze dovute alla crisi finanziaria, nel primo semestre 2008, gli operatori istituzionali hanno effettuato 170 nuove operazioni di investimento per un controvalore di 2.772 mld di euro.
Si tratta di valori mai raggiunti, con una crescita del 45% in termini di volumi e dell’11% per numero di investimenti rispetto ai primi sei mesi del 2007.
Sono questi i principali dati che emergono dalla consueta ricerca semestrale sul mercato italiano dell’investimento istituzionale nel capitale di rischio condotta dall’Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital (AIFI), in collaborazione con PricewaterhouseCoopers-Transaction Services.
Il capitale di rischio
Questi numeri esprimono il valore crescente nella nostra economia delle operazioni di capitale di rischio, vale a dire da quelle particolari forme di investimento a medio-lungo termine realizzate da operatori specializzati prevalentemente in aziende non quotate, che prevedono l’apporto di risorse finanziarie sotto forma di partecipazione al capitale azionario o di sottoscrizione di titoli obbligazionari convertibili in azioni.
Assieme ai capitali, gli investitori mettono a disposizione dell’impresa anche la proprie competenze tecnico-manageriali e una rete di contatti con altri professionisti, investitori e istituzioni finanziarie.
Le imprese oggetto dell’operazione sono generalmente caratterizzate da un elevato potenziale di crescita e redditività e dalla possibilità di aumentare il proprio valore nel medio-lungo periodo.
Capitale paziente, know-how, contatti e collaborazioni fanno sì che le imprese venture backed possano ricevere grandi benefici in termini di aumento occupazionale, apertura di nuovi mercati e innovazione di prodotti, servizi e processi, anche grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo.
Inoltre, per nuovi business ad alto tasso di conoscenza considerati troppo rischiosi dalle banche, i venture capitalist rappresentano un’alternativa valida alla concessione del credito.
Nato negli Stati Uniti negli anni ’40 e sviluppatosi vertiginosamente negli anni ’80 e ’90 anche in Gran Bretagna, anche grazie al ruolo fondamentale giocato dallo sviluppo delle ICT, nell’Europa continentale il capitale di rischio ha conosciuto una fase di forte espansione solo negli ultimi 15 anni.
Per comprendere il mercato del Private Equity, risulta necessario distinguere tra le differenti tipologie di operazioni che possono essere realizzate, vale a dire Venture Capital e Buy Out. Alla prima categoria appartengono:
- l’early stage financing, ovvero l’insieme dei finanziamenti (seed financing e start-up financing) a sostegno delle imprese nelle prime fasi di vita;
- l’expansion financing, vale a dire gli interventi effettuati in imprese già esistenti ma che necessitano di capitali per consolidare e accelerare i propri processi di crescita.
Alla seconda categoria corrispondono, invece, gli investimenti effettuati allo scopo di risolvere problemi connessi con la proprietà di un’impresa, incluso il fenomeno del passaggio generazionale.
I dati del primo semestre 2008
Per quanto riguarda le singole tipologie di finanziamento, il mercato risulta trainato dai buy out: ben 1.220 mln di euro sono stati impegnati impegnati in 49 operazioni, circa il 44% del totale.
Altri 1.155 mln hanno riguardato il replacement, investimenti finalizzati alla ristrutturazione della compagine societaria di un’impresa, in cui l’operatore nel capitale di rischio si sostituisce temporaneamente a uno o più soci non più interessati a proseguire l’attività.
Anche gli investimenti di minoranza finalizzati a sostenere i programmi di sviluppo di imprese esistenti (i cosiddetti expansion) hanno registrato numeri da record: 65 operazioni per circa 344 mln di euro, con una crescita del 35% rispetto al primo semestre 2007.
La rilevazione ha anche confermato l’aumento delle risorse dedicate al finanziamento di start-up, la cui sopravvivenza e crescita è fondamentale per innalzare il livello di competitività del nostro sistema produttivo.
Nel periodo considerato, sono stati effettuati 40 investimenti finalizzati all’avvio di nuove imprese, per un controvalore di 52 milioni di euro (+ 35% rispetto al primo semestre 2007).
Il fatto che circa la metà delle suddette operazioni abbia riguardato imprese high-tech accerta il particolare interesse dei venture capitalist nei confronti di settori ad alta intensità di conoscenza.
Tuttavia, le suddette cifre, ancora piuttosto basse, dimostrano ancora l’incapacità di attivare politiche e implementare iniziative per stimolare maggiori sinergie tra centri di ricerca, università, imprenditori e venture capitalist tali da generare flussi di opportunità e proposte di investimento interessanti.
In linea di massima, la buona performance del mercato italiano del Venture Capital nel periodo gennaio-giugno 2008 è stata influenzata dalla natura stessa del nostro tessuto industriale, caratterizzato dalla stragrande presenza di Pmi.
La maggior parte delle operazioni di investimento effettuate nel periodo considerato ha avuto come obiettivo realtà medio piccole. Ben il 69% delle operazioni realizzate ha riguardato aziende con meno di 250 dipendenti, con una concentrazione del 58% in imprese con meno di 100 addetti.
Inoltre, il 68% degli investimenti ha riguardato aziende con ricavi inferiori ai 50 mln di euro.
Caratterizzandosi per operazioni di piccolo cabotaggio e dalla minor dipendenza dai cosiddetti mega deal, il nostro mercato ha continuato ad espandersi.
A livello di distribuzione settoriale, i dati confermano l’attenzione degli operatori italiani verso imprese appartenenti a settori tradizionali: i sevizi industriali, il manifatturiero, l’automotive e le telecomunicazioni.
Fortunatamente, anche il numero di operazioni concernenti imprese ad alto contenuto tecnologico ha registrato un deciso aumento, quasi triplo rispetto al primo semestre 2007.
Tuttavia, dalle statistiche emergono anche carenze ormai consolidate: a livello territoriale l’enorme disparità tra gli investimenti effettuati al Centro-Nord e al Sud rimane evidente.
Ben il 68% dell’attività si è concentrato infatti nelle regioni settentrionali, il 27% nelle regioni centrali e solo il 5% nel Mezzogiorno (9% nel 2007).
La Lombardia rimane la regione in cui viene realizzato il maggior numero di
operazioni (45), seguita a lunga distanza da Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia (entrambe con 15), Toscana (14), Lazio, Umbria, Piemonte e Veneto (13). Fanalini di coda le Isole (1) mentre in Calabria ed in Basilicata non sono stati effettuati investimenti.
Note dolenti anche per disinvestimenti che, risentendo maggiormente dell’instabilità finanziaria, sono calati del 50% circa in termini di ammontare (739 milioni), pur salendo di due unità, da 90 a 92, come numero di operazioni.
In un contesto finanziario delicato come quello attuale, i maggiori ostacoli sono rappresentati dalle difficoltà riscontrate nel cedere le proprie partecipazioni a prezzi adeguati o nel lancio di Ipo sui mercati azionari.
Il risultato è quello di assistere all’allungamento del periodo di permanenza delle aziende nel portafoglio degli operatori, solitamente oscillante dai 3 ai 5 anni.
Anche dal punto di vista della raccolta dei capitali da investire, si registra una forte contrazione rispetto al primo semestre del 2007 (-39%) per un ammontare totale pari a circa 914 milioni di euro.
Le politiche pubbliche di sostegno
Le istituzioni pubbliche, a livello nazionale e comunitario, comprendendo l’importanza del capitale di rischio quale elemento di innovazione del sistema produttivo, da diversi anni si stanno adoperando per sviluppare il mercato attraverso il lancio di nuove iniziative e strumenti di sostegno.
Ad esempio, lo scorso anno il Ministero per le Riforme e l’innovazione nella PA ha istituito un fondo gli investimenti in Venture Capital destinati alle imprese del Sud.
La dotazione complessiva di 82,5 mln di euro, è destinata alla sottoscrizione di quote di fondi mobiliari chiusi promossi e gestiti da diverse società di gestione del risparmio (per l’assegnazione delle risorse sono in lizza Vertis, Quantica, Vegagest, Cape Natixis e San Paolo IMI Fondi Chiusi), per finanziare nascita, sviluppo e innovazione di Pmi innovative attraverso l’impiego di tecnologie digitali.
Inoltre, la manovra finanziaria approvata lo scorso 24 luglio 2008 consente alla Cassa depositi e prestiti di promuovere fondi di Venture Capital sul modello già applicato in Francia con successo.
A livello comunitario, lo strumento a favore delle Pmi innovative e a forte crescita (GIF), gestito dal FEI per conto della Commissione, a valere sul Programma per la competitività e l’innovazione (CIP), garantisce ai fondi operativi a livello locale le risorse necessarie per investire in start-up innovative e imprese operanti in una fase successiva di sviluppo.
Nell’ambito dello strumento, sono disponibili due sportelli:
1) il GIF1, che investe in fondi di investimento specializzati nella fase di avviamento delle imprese o incentrati su settori e tecnologie specifiche, anche connessi agli incubatori e ai veicoli di investimento promossi dai business angel;
2) il GIF2, che investe in fondi di capitali di rischio che, a loro volta, forniscono quasi-equity o equity alle Pmi innovative in fase di espansione caratterizzate da un elevato potenziale di crescita.
Da sottolineare, infine, l’impegno delle istituzioni comunitarie nel processo di eliminazione degli ostacoli che rendono problematici i flussi di capitali da un paese all’altro e che rendono problematica l’attività di raccolta e investimento da parte degli operatori.
A più riprese, la Commissione ha richiesto ai governi una più stretta collaborazione al fine di riconoscere le reciproche normative in modo da facilitare l’operatività degli intermediari finanziari nel territorio di un altro Stato membro.