Esercitando la mia professione di consulente aziendale ho potuto constatare che, ancora oggi, regna sovrana, tra gli imprenditori, una certa confusione su “BASILEA 2” il nuovo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche. Cerchiamo di esaminare, quindi, quali sono le ricadute più importanti per le piccole e medie imprese.
Forse è noto che BASILEA 2 è un accordo in base al quale le banche dei paesi aderenti devono accantonare quote di capitale, proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti, valutato attraverso lo strumento del rating.
Sofferiamoci su questo concetto. L’equazione cui tutti gli istituti di credito dovranno uniformarsi, stando anche a quanto illustrato dal Comitato per la vigilanza bancaria (passo tratto dall’opuscolo “Prassi corrette per la gestione ed il controllo del rischio operativo” edito dalla Banca dei Regolamenti Internazionali) è la seguente:
MAGGIOR RISCHIO => MAGGIORI ACCANTONAMENTI => MAGGIORI COSTI PER LA BANCA
e, quindi, di conseguenza:
MAGGIORI COSTI PER L’UTENTE FINALE (IL CLIENTE)
Le banche dovranno classificare i propri clienti in base alla loro rischiosità, attraverso procedure di rating sempre più sofisticate. Di conseguenza, appare fondato il timore che BASILEA si traduca in minor credito alle imprese più rischiose e a tassi più elevati.
È evidente la necessità che le imprese, ed in particolare le PMI, pongano in essere tutte quelle politiche, gestionali e di bilancio, atte a rafforzare la propria struttura e la propria immagine per affrontare serenamente l’esame dei rating bancari.
Nel nostro Paese le direttive sono state recepite con l’adozione, il 22 dicembre 2006, da parte del Governo di un decreto legge pubblicato sulla G.U. n. 297 del 27 dicembre, che ha apportato le opportune modifiche al Testo Unico Bancario (TUB).
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in qualità di Presidente del CICR, il 27 dicembre 2006 ha a sua volta adottato in via d’urgenza, su proposta della Banca d’Italia, un decreto ministeriale che definisce i criteri generali e rinvia alle “disposizioni di attuazione emanate da Banca d’Italia in conformità della normativa comunitaria”.
Banca d’Italia ha a sua volta emanato tali disposizione con la Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” delinea il nuovo impianto normativo, basato su un rinnovato sistema di regole ed incentivi, finalizzato a perseguire con maggiore efficacia gli obiettivi della regolamentazione prudenziale, sanciti dall’art. 5 del TUB.
Il decreto legge 297 del 27 dicembre 2006 è stato poi definitivamente convertito dal Parlamento nella legge n. 15 del 23 febbraio 2007.
BASILEA 2 si fonda su tre principi fondamentali:
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I requisiti patrimoniali minimi
È un perfezionamento della misura prevista dall’accordo del 1988 che richiedeva un requisito di accantonamento dell’8%. In primis, ora si tiene conto del rischio operativo (frodi, caduta dei sistemi) e del rischio di mercato. In secundis, per il rischio di credito, le banche possono utilizzare metodologie diverse di calcolo dei requisiti. Le metodologie all’avanguardia permettono di utilizzare sistemi di internal rating avendo come obiettivo di garantire sempre maggior sensibilità ai rischi senza innalzare né abbassare, in media, il requisito complessivo. -
Il controllo delle Banche Centrali
Tenendo conto delle strategie aziendali di ciascuna banca in materia di patrimonializzazione e di assunzione di rischi, le Banche Centrali hanno una maggiore discrezionalità nel valutare l’adeguatezza patrimoniale delle banche, potendo imporre una copertura superiore ai requisiti minimi. -
Disciplina del Mercato e Trasparenza
Sono previste regole di trasparenza per l’informazione al pubblico sui livelli patrimoniali, sui rischi e sulla loro gestione.
Ma di fatto cosa è accaduto all’indomani dell’adozione di BASILEA 2? Esaminiamo i tre aspetti che sono stati percepiti in modo più negativo:
- una disparità di criteri applicativi per la determinazione del rating (le piccole banche non hanno potuto utilizzare le metodologie più avanzate, quindi hanno subito, proporzionalmente, un onere patrimoniale maggiore rispetto ai grandi gruppi);
- una penalizzazione del finanziamento alle piccole e medie imprese indotto dal sistema dei rating interni;
- una prociclicità finanziaria: in un periodo di rallentamento economico come quello che stiamo attraversando, BASILEA 2 ha indotto le banche a ridurre gli impieghi, causa il crescere del rischio, con la conseguenza di inasprire la crisi stessa.
E se vogliamo essere “più realisti del re” dobbiamo dire che il prezzo di un finanziamento o di un investimento sono diventati sempre più sensibili al rischio implicitamente contenuto. In seguito al recepimento delle nuove disposizioni il legame fra rating interno e pricing si è fatto più solido, più strutturato ma anche meno trasparente.
Ciò ha indotto un effetto di carattere restrittivo nei confronti delle imprese, in particolare le PMI, che già cronicamente afflitte da minore qualità creditizia, hanno visto peggiorare le condizioni loro praticate con un effetto di compressione della loro capacità di indebitamento e di revisione delle opportunità di indebitamento, ma soprattutto con un aumento dei tassi di interesse.
Le pressioni fatte dalla Banca d’Italia, volte a difendere la specificità dei rispettivi sistemi economici caratterizzati dalla presenza di migliaia di piccole imprese, hanno portato ad una parziale revisione della bozza di accordo che prevede ora requisiti minimi patrimoniali ridotti (ma pur sempre con riflessi troppo onerosi per le aziende “made in Italy”) per l’esposizione delle banche verso le piccole e medie imprese.
Ma vediamo come “ragiona una banca” nella individuazione delle 4 componenti del rischio associato a ciascun finanziamento:
- tasso di recupero in presenza di un default (insolvenza)
- merito di credito
- esposizione al momento del default
- durata residua
e come di, conseguenza, in funzione del tipo di finanziamento concesso, sia possibile distinguere un ventaglio di 3 tipologie diverse di prodotto:
- finanziamento a costo fisso con possibilità di cambiare nel tempo le sue caratteristiche (senza mutare nel tempo il costo del finanziamento stesso)
- finanziamento a costo variabile in funzione del variare dei parametri di rischio (secondo un calendario prestabilito si valutano le condizioni del rischio e si modifica il costo ove ricorrano condizioni di rischio maggiore)
- finanziamenti a tasso decrescente, ovvero finanziamenti in cui il costo decresce al migliorare del rischio di credito, migliorando il rating e, di conseguenza, il costo del finanziamento medesimo
Purtroppo sono rari i casi in cui le banche (piccole, medie o grandi che siano) propongono la terza ipotesi, mentre le prime due forme sono largamente diffuse (tristemente direi visto il trend dei mutui a tasso variabile).
Ottenere un rating migliore per le PMI
Una mossa determinante è quella di evitare la sottocapitalizzazione dell’azienda. Si ottiene una sottocapitalizzazione quando si cerca di ridurre e minimizzare l’esposizione fiscale, indicando utili esigui, oppure facendo ricorso esclusivamente a capitale di terzi per finanziare la gestione aziendale.
Per capirci: il titolare di un’azienda si lamentava del fatto che una banca a carattere nazionale gli rifiutasse un finanziamento, dopo aver visto il suo bilancio (su un volume d’affari di 750.000 euro dichiarava “soltanto” un reddito di 1.419 euro !!).
Una sottocapitalizzazione eccessiva, unita ad un alto coefficiente di indebitamento bancario non fanno altro che incrementare la valutazione, da parte della banca, del rischio di insolvenza (default) perché la banca vede come i margini generati dalla gestione non siano sufficienti a remunerare e rimborsare il capitale di terzi. Tutto questo si traduce, poi, in una attribuzione di rating negativo e, conseguentemente, in difficoltà di avere accesso al credito o, quando lo si ottiene, di avere maggiori oneri.
Già con questo accorgimento è possibile attenuare un possibile impatto negativo di Basilea 2 sulle PMI.