Abbiamo davvero bisogno di una "seconda vita"?

di Riccardo Simone

Pubblicato 6 Febbraio 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 19:33

In questi mesi mi è capitato spesso di leggere articoli a proposito di Second Life, la piattaforma sviluppata dalla Linden Research che permette di creare un proprio alter ego virtuale, e di parlare con persone che lavorano a iniziative di marketing ad essa legate.

Mi incuriosisce l’idea che molte persone trascorrano parte del proprio tempo libero a cercare di rendere più “cool” il proprio avatar (l’alter ego virtuale), spendendo soldi reali: su Second Life è infatti possibile acquistare prodotti e servizi in Linden Dollars, la moneta locale; il tasso di cambio prevede che un Euro ne valga 30.

Su questo desiderio di seconda vita c’è chi ha costruito una discreta fortuna, aprendo un negozio di vestiti (in 3D) o un salone di acconciature (per capelli digitali). Ma quali sono le opportunità  di business che Second Life realisticamente offre per le imprese che decidono di aprirvi un proprio spazio?

Le “storie di successo“, tutte comunque provenienti dagli U.S.A., hanno creato un entusiasmo che ha portato molte agenzie di marketing e comunicazione a proporre ai propri clienti l’apertura di uno spazio virtuale. L’idea di fondo è che “esserci” conta perché offre numerose opportunità  per farsi conoscere e può anche far guadagnare.

Dai dati che vengono pubblicati proprio sul sito di Second Life – scelta avveduta e intelligente – emerge che, a fronte di una popolazione totale di quasi 12 milioni di avatar, solo una piccola percentuale – circa lo 0,05% – può essere considerata davvero attiva e dunque costituire un mercato di riferimento, a livello mondiale. Un mercato composto essenzialmente da giovani: infatti la fetta maggiore di utilizzatori ha tra i 25 e i 34 anni (ma numerosi sono anche i 18-24enni) ed è per il 70% di sesso maschile.

Second Life non è dunque un nuovo mercato né un nuovo modo di fare business, anche se c’è chi si è arricchito realmente, ma semplicemente una possibilità  in più che si apre per alcune imprese (tipicamente quelle legate alla moda e all’immagine) e per chi sviluppa soluzioni informatiche a livello di marketing e pubblicità .

Insomma, è un po’ come aprire un nuovo punto vendita nel centro di un capoluogo di regione come Genova o Palermo, ma a costi decisamente inferiori.