“Second Life: oltre la realtà il virtuale” : è il titolo del convegno tenutosi a Roma a fine ottobre, e da cui è emersa una tendenza piuttosto negativa nell’uso di una piattaforma virtuale su cui diversi marketing manager hanno investito tempo ed energie.
Molto attuale il dibattito, se si pensa al clamore suscitato nei giorni scorsi dalla chiusura di Lively, la chat 3D di Google ospitata proprio su SL, lanciata a luglio e di cui avevamo parlato approfonditamente nel suo momento d’auge.
Purtroppo l’analisi dell’uso di Second Life come mezzo di advertising – soprattutto in un Paese come l’Italia non certo sempre all’avanguardia nell’uso delle nuove tecnologie rispetto ai paesi anglosassoni, americani e orientali come il Giappone – getta più ombre che luci sul futuro di questo spazio virtuale come strumento pubblicitario e commerciale da sfruttare anche dalle imprese.
Basta guardare ai numero per farsi “quattro conti”. Eppure, bisogna considerare lo scenario in un’otica più ampia: nell’ambito del convegno il professor Giovanni Boccia Artieri dell’Università di Urbino, ha evidenziato la tendenza in atto nella creazione di processi di socializzazione in Second Life:
“Nel 2011 l’80% degli utenti internet abiterà mondi metaforici. Nel 2015 il 2% dei cittadini Usa avrà sposato nei mondi online persone mai incontrate prima”.
Peccato che i contatti su Second Life in Italia appaiono in costante discesa, dopo aver toccato il picco a luglio 2007 probabilmente grazie alla promozione sui media e al passaparola generato dai consumatori innovatori, tecnofili e appassionati del web.
Oggi le cose sono cambiate. Cosa ha determinato questo calo di popolarità su Second Life? Secondo Artieri la piattaforma
“è antidemocratica ed elitaria rispetto ai social network”.
Inoltre richiede una partecipazione costante, dato che è un luogo dove la presenza sta nell’esserci, a differenza di blog o piattaforme come Facebook, dove rimangono tracce e contenuti degli internauti anche off-line.
Sorprende il fatto che Second Life non soddisfi più neanche gli internauti giapponesi, sempre all’avanguardia nell’innovazione tecnologica e “eVictims”.
A decretare questa morte annunciata, gli stessi dati diramati dalla Linden Lab (la casa di produzione di Second Life) e riportati dal professor Junji Tsuchiya dell’università di Tokyo:
“Ventisettemila giapponesi si sono registrati in Second Life. Ci è entrato solo il 2,4% degli user nipponici e meno di un terzo di essi vuole continuare ad accedervi”.
Il flop nel Sol Levante secondo Tsuchiya è dovuto all’eccessiva commercializzazione degli spazi virtuali, operata da un marketing selvaggio.
Questa tendenza ci deve portare a riflettere sulla reale efficacia di questi nuovi strumenti di socializzazione e advertising virtuale, che probabilmente seguono più l’emergere di mode e passioni momentanee. Mezzi da sfruttare sapientemente nell’immediato per campagne di comunicazione e piani marketing efficaci, ma senza esagerare…