Ho sempre pensato che, come inizio di un articolo o di un post, la frase “il mondo è cambiato” sarebbe stato sinonimo di invecchiamento del sottoscritto. Eppure devo dire che, all’alba dei quarant’anni, il mondo è veramente cambiato. Soprattutto quello del lavoro, delle aziende e della comunicazione.
In un mare di crisi economica e di incertezze bancarie, come quello in cui stiamo navigando, però, resistono (anzi crescono) fenomeni come Facebook, mySpace & Co..
Cresce la necessità di connettersi con chi ha fatto parte, direttamente o indirettamente, del nostro network, del nostro presente e del nostro passato e si ricrea una comunità alla quale sentiamo, in qualche modo, di appartenere.
La logica del social network è entrata a far parte anche del modus operandi del Marketing e delle PR di alcune aziende (in verità speriamo sempre di più).
Al punto in cui siamo bisogna, però, fare delle valutazioni di tipo strutturale partendo dall'interno delle nostre realtà lavorative.
Il social networking è uno strumento di aggregazione di individui accomunati da una serie di caratteristiche, interessi e agenti che li uniscono.
Pensare di utilizzare questa rete come uno strumento di marketing diretto sarebbe un grave errore, lo abbiamo già detto in numerosi altri interventi. Semmai l'idea di marketing sta nell’approfittare degli elementi che interconnettono gli individui per creare ancora più aggregazione con iniziative, eventi, campagne mirate, premi… insomma, in una parola: fidelizzazione.
Se questo è vero (e lo è) per la nostra clientela esterna dobbiamo porci il problema se questa cosa è vera anche per la nostra clientela interna, quella fatta da dipendenti, collaboratori, fornitori, agenti, etc.
Ossia: la nostra azienda è una community? Chi ci lavora si sente inserito in un contesto aggregante?
Il timore è che non sia così e che molti imprenditori e manager non abbiano incorporato fino in fondo il senso di questo fenomeno mondiale che chiamiamo social network.
Banalmente potremmo ricordare che quando le persone sono unite e hanno acquisito dei valori comuni sono molto più determinate a raggiungere degli obiettivi collettivi mentre gli individui separati, anche se fortemente auto motivati, tendono a spegnersi lungo il cammino.
Le chiese e gli eserciti sono un buon esempio in questo.
Ma lo sono anche le tribù e i nuclei sociali elementari.
Senza voler trascendere nella sociologia o nell’antropologia culturale, il senso dovrebbe essere: trasformiamo un gruppo di persone, che attualmente non fanno gruppo, in una community di gente entusiasta e motivata a lavorare insieme, ancora di più.
Come farlo? Abbiamo oramai decine di strumenti a disposizione.
Basterebbe iniziare dalla nostra intranet, inserendo un blog interno e permettendo ai nostri collaboratori di postare feedback, idee e proposte su come migliorare la produttività aziendale.
Creiamo un wiki al quale tutti i nostri tecnici e agenti possano accedere sviluppando così una knowledge base più interattiva possibile.
Prendiamo spunto da ciò che ha fatto SAP con la sua WikiSap: un contenitore aggregante per consulenti, imprese, clienti, dipendenti, consociati.
Le possibilità ci sono.
Molti piccoli imprenditori ancora faticano a credere al valore di Internet e della rivoluzione comunicativa e associativa che ha comportato in questi ultimi anni, tuttavia a costoro dobbiamo ricordare un detto da Paperon de Paperoni: posso anche non condividere la tendenza ma debbo domandarmi come questa tendenza può essere utile al mio business.
Non afferrare questa opportunità sarebbe un peccato, potreste avere vicino a voi dei talenti che non aggiungono valore al vostro business perché non sono nelle condizioni di farlo, oppure potreste avere un turn-over ingiustificato in settori d'azienda che potrebbero essere molto più amalgamati.
A voi la scelta.