Negli Stati Uniti la beneficenza è detraibile dalle tasse. In Italia anche (non da molto e le detrazioni fiscali non sono assolutamente comparabili a quelle statunitensi ma sono comunque da considerare).
Potrebbe suonare un po’ cinico e anzi forse lo è, da un certo punto di vista. Però, bisogna riflettere e farlo con senso pratico ma anche etico: la considerazione va fatta non soltanto per una questione di dichiarazione dei redditi ma perché ci sono dei risvolti del “fare del bene” che le Pmi italiane non valutano spesso, anzi, quasi mai.
“[…]Gli sgravi fiscali sulla beneficenza sono aiuti per chi decide di aiutare, previsti dallo Stato per privati e imprese generosi. Chi decide di elargire denaro per scopi benefici ha infatti diritto ad agevolazioni fiscali. Lo sancisce la legge 80 del 2005 che modifica e amplia il precedente art 14 del decreto 35 dello stesso anno.
Secondo la disciplina che regola le detrazioni dei contributi fiscali, le donazioni in favore delle ONG (Organizzazioni Non Governative) e delle ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale) sono soggette ad esonero parziale o totale del versamento di contributi. Lo stato tenta così di incentivare alla beneficenza cittadini e imprese, rendendo le donazioni operazioni convenienti anche sotto il profilo fiscale”.
Questo è lo stralcio di un vecchio articolo comparso sul Corriere.
Per dirla tutta, i vantaggi sono solo per le aziende che decidono di mettere in bilancio queste azioni. Le associazioni beneficeranno anche delle donazioni ma vivono in un marasma normativo tutto italiano. Ma questa è un’altra storia.
Quello che ci riguarda, in questa sede, è l’azione di Pubbliche Relazioni che possiamo fare.
In Italia non è ancora abbastanza diffusa questa tendenza a dare valore ad un’impresa non solo per la sua capacità produttiva e per i suoi prodotti.
I benefici?
Senza menzionare quelli di merito vero e proprio (aiutare gli altri – anche se fuori moda – dovrebbe già essere appagante di per sè) quelli dal punto di vista del ritorno di immagine non sono pochi.
Il presupposto importante è quello di concentrare le azioni sul territorio in cui si opera piuttosto che a livello nazionale. Consolidare il proprio valore nella zona in cui lavoriamo è molto più importante e ha molto più impatto che se scegliamo di aiutare una popolazione sperduta in qualche parte del mondo.
La “beneficenza aziendale” va fatta sotto casa.
E se avete più unità locali distribuite le vostre azioni sui territori in cui operate.
In questo modo non solo farete qualcosa di concreto per migliorare il mondo intorno a voi ma svolgerete indirettamente un’ottima campagna di pubbliche relazioni aumentano il “valore percepito” della vostra azienda.
Questo è il lato utilitaristico della faccenda.
Non sarebbe male anche pensare (o tornare a pensare) che chi può ed è in condizioni di farlo dovrebbe fare del suo meglio per aiutare chi ne ha bisogno.
Inoltre mi viene in mente un mio vecchio formatore, Anthony Robbins, che sostiene da sempre che fare del bene è un boomerang che ritorna nelle nostre mani.
Ma anche questa è un’altra storia!