Recentemente, ad un incontro organizzato da Webank, l’amministratore delegato Andrea Cardamone è intervenuto presentando alcuni cenni in merito agli scenari strategici emergenti con particolare riferimento alla competizione sul Web.
In questo contesto, sottolineava come i confini tra ciò che può essere chiamato azienda e l’ambiente in cui essa opera si stanno facendo via via più labili e confusi. La capacità di gestire, o meglio, dare una direzione alle interazioni che avvengono in tale zona di contatto diventa fattore critico di successo.
Sebbene la dinamica citata costituisca oggi una vera e propria scelta strategica di alcune grosse realtà credo che qualche riflessione in merito possa tornare utile anche alle piccole e medie imprese.
Il nocciolo della questione, senza parlare di aziende che fanno del Web il proprio core business, è che realtà del calibro di Hewlett Packard, Bmw, Philips, Nokia, Lego (e l’elenco potrebbe continuare) hanno in modi diversi intrapreso forme innovative di dialogo con i propri clienti o, più in generale, con tutti coloro che possono essere a vario titolo interessati ai prodotti dell’azienda.
Citando ad esempio il Ceo di Nokia:
Noi crediamo che il mondo stia cambiando e che il vantaggio competitivo sia determinato dal numero di persone che si riesce a coinvolgere nel proprio network. Il network diventa più importante dei segreti commerciali. E’ un cambiamento strategico fondamentale e riteniamo che darà luogo a prodotti migliori.
La cosa interessante è che chi ha intrapreso questa strada riuscendo a creare una comunità di persone a vario titolo interessate che interagiscono con l’azienda al fine di contribuire alla creazione del prodotto ha ottenuto ottimi risultati sotto il profilo commerciale.
Le ragioni di questo successo sono tutto sommato abbastanza semplici.
Sotto il profilo della funzione Ricerca e Sviluppo è evidente che quante più persone qualificate intervengono nel progetto attraverso un meccanismo autoselettivo dei contributi tanto migliori saranno i risultati finali.
Sotto il profilo del Marketing è chiaro che gli elementi motivazionali che si vanno a toccare nel caso della partecipazione diretta sono molto più profondi rispetto a quelli attivati dal meccanismo seduttivo tipico dell’advertising. Se mi passate la metafora è la differenza che corre tra il vedere uno spot ed esserne il co – protagonista.
Senza approfondire un argomento che meriterebbe molto più spazio, quello che credo possa essere innovativo ed importante in generale, e quindi anche per la realtà delle piccole e medie imprese, è l’atteggiamento verso il mercato.
Il punto fondamentale, per quanto in molti casi possa apparire anomalo e lontano dalla nostra cultura, è che la partecipazione sta progressivamente diventando un elemento determinante del vantaggio competitivo e la gestione del network di relazioni che si viene a creare un elemento costitutivo della catena del valore.
Quanto ai modi in cui tutto questo può essere realizzato il discorso si fa più complicato, soprattutto nel caso di piccole e medie realtà che, rispetto alle aziende citate, hanno un budget e una forza del brand del tutto diversi.
Per il momento, in questa fase embrionale del fenomeno, credo che comunque possa risultare utile cominciare a prendere coscienza delle dinamiche in atto che avranno verosimilmente due conseguenze principali.
La prima a cui già si può assistere, è che alla comunicazione unidirezionale si affianca un dialogo paritario all’interno di comunità che hanno delle regole a cui l’azienda si deve sottoporre.
La seconda conseguenza (che a ben vedere può costituire anche l’antefatto strategico), e qui faccio riferimento alla teoria dei giochi, è la progettazione bilanciata dei pay off che, a questo punto, devono tenere conto dei nuovi partecipanti.