Reputation Management, priorità  strategica in ottica CGM

di Giovanni De Vidi

Pubblicato 2 Settembre 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 19:33

Anche tra i consulenti di Marketing 2.0 più preparati, coscienziosi e corretti non è ancora sufficientemente chiaro un concetto cardine: per le Pmi, il Web Marketing ha due facce.

La prima, più semplice e intuibile, è rappresentata – oltre che dalla visibilità  – dalla forza di comunicazione che l’azienda sa esprimere. La personalità  e il carattere, appunto.
La seconda faccia, meno appariscente ma più paziente, consiste nell’ascolto attivo (o ascolto efficace) di quello che si sussurra (o si grida) in tutti i luoghi virtuali di socializzazione (quali forum, blog, chat, social network, community) ove buzz, rumors e gossip imperano. Ed è su quest’ultima dimensione che si staglia quella che comunemente viene chiamata “reputation management” alla quale, diciamolo chiaramente, a volte non si dà  molto peso. E si sbaglia.

Questa considerazione, unitamente ad altri motivi, mi indurranno dopo la pausa feriale
a farmi promotore, nell’azienda ove lavoro, di un’iniziativa che alcuni colleghi, ai quali ho anticipato l’idea, ritengono “audace”: l’istituzione di un un inter-ufficio
virtuale
(cioè senza collocazione fisica) e a tempo parziale (due o tre riunioni al mese
poco più consistenti di una lunga rilassante pausa caffè) denominato “Osservatorio Web” e composto dai diversi profili professionali che operano in azienda (risorse umane, marketing, sistemi informativi, sales e controllo) in cui ritrovarsi e discutere assieme in merito alla dentità  digitale dell’azienda.

In un un cyberworld nel quale è sempre più chiaro il ruolo che si sta ritagliando quella nuova forma di libertà  che Pete Blackshaw, CMO di Nielsen Buzzmetrics, ha battezzato “consumer generated media” (CGM), occuparsi di reputation management diventa improcrastinabile.

E’ da diversi anni che subodoro i pericoli che si celano dietro i vari ed apparentemente innocui trolling, che stanno assumendo connotazioni sempre più sottili. Proprio in questo Blog nel febbraio di quest’anno ho dedicato spazio all’allora emergente fenomeno dell’astroturfing e del recepimento nella legislazione italiana delle direttive CEE atte a contrastare questo fenomeno.

Per le nostre Pmi che senso ha spendere una barca di soldi in pubblicità  se poi può bastare un buzz marketing diffamatorio di alcuni concorrenti sleali per metterle malintenzionalmente in cattiva luce con i consumatori?
Cosa ne pensate?