Il Time lo ha incoronato come il fenomeno del 2006. Sul nostro Blog ne parliamo spesso e da numerosi punti di vista. Eppure, il Web 2.0 sembra avere più lati oscuri del previsto. Prestino molta attenzione le imprese che intraprendono questo business: il Web 2.0 non genera profitto a sufficienza!
A lanciare l’allarme è il Financial Times, nell'articolo “Web 2.0 Fails To Produce Cash“: in quattro anni di sperimentazione (siti e servizi in fase beta, finanziamenti provenienti solo da venture capital), le imprese della nuova era di Internet – social networks, piattaforme di blogging e tutti i siti che si basano sui contenuti prodotti dagli utenti – non hanno generato i ricavi sperati.
Il caso più emblematico è quello di Twitter, la piattaforma di microblogging che rischia il fallimento per mancanza di fondi. E numerosi sono i casi di fallimento di iniziative interessanti: per esempio Brijit, un sito che proponeva rassegne stampa personalizzabili, con riassunti di notizie prodotti dagli utenti che per questo venivano pagati.
Ma come è possibile che questo accada? Siamo di fronte a una nuova bolla speculativa?
Il problema è che si è creata un'eccessiva euforia intorno al mondo del Web 2.0. E l'euforia ingiustificata può portare solo alla formazione di bolle speculative. Tuttavia, la situazione attuale va analizzata con molta attenzione, per evitare allarmismi altrettanto dannosi.
Innanzitutto, il Web 2.0 non è un business per tutti. Don Dodge, esperto di Microsoft ma soprattutto di venture capital, sostiene che per generare un milione di dollari di ricavi pubblicitari occorrono due miliardi e mezzo di visite al mese sul proprio sito. Queste performance le possono ottenere solo grandi player come Facebook, MySpace, Ebay o i motori di ricerca come Google e Yahoo.
Tuttavia, non è realistico pensare che si verifichi una situazione simile a quella del 2000, con lo scoppio della bolla della New Economy. A differenza di 8 anni fa, infatti, esiste un modello di business “vincente”, basato su un sistema più maturo di Web Advertising, ed esistono delle realtà imprenditoriali solide: sono proprio i grandi player di cui sopra.
Diverso il discorso per i piccoli operatori:chi vuole entrare in questo mercato deve prestare maggiore cautela; mentre molte nuove applicazioni possono essere facilmente adottate anche dalle Pmi.
Ad ogni modo, per fortuna, esiste ormai la consapevolezza che l'approccio “open” è determinante per la sopravvivenza sul Web. Per cui, la strada da percorrere è quella di unire le forze, o meglio di rendere interoperabili le diverse applicazioni.