Nelle ultime settimane si è discusso molto di PageRank, il servizio di Google che contribuisce al posizionamento delle pagine web nei motori di ricerca.
Gli algoritmi che rendono possibile l’indicizzazione dei contenuti, infatti, utilizzano una complessa serie di parametri (la maggior parte dei quali, bisogna ammetterlo, sono oscuri ai più).
Oltre al grado di pertinenza nei confronti dei criteri impostati in fase di ricerca, a far salire di pozione un determinato sito è anche il suo grado di popolarità ed i suoi volumi di traffico, ad esempio. Ma conta anche il numero di link che puntano a quella data pagina, “pesati” in base al loro stesso grado di popolarità .
Aprendo la via a nuove e più attuali forme di promozione, quindi, il sistema ideato da Google attira con le sue promesse di buona visibilità numerose società che si propongono in Rete, piattaforme di e-commerce o portali che offrono servizi e contenuti online.
Chiunque operi in rete o utilizzi il Web fra i suoi strumenti strategici di comunicazione e promozione, ha ormai introdotto il concetto di “indicizzazione” fra le parole chiave delle proprie politiche di web marketing.
Ora, ricalcolando su nuovi parametri il ranking di moltissimi siti, nelle scorse settimane il colosso di Mountain View ha quasi gettato nello sconforto webmaster e manager IT, che magari si fregiavano di un rank assai elevato, oltre che numerosi esperti di SEO.
Da quanto emerso, la temporanea revisione del rank è stata causata dalla compravendita di link, pratica ritenuta illecita da Google poiché rischiava di alterare la veridicità dei risultati nelle ricerche effettuate.
Placata la bufera, quel che ci si chiede ora è: la penalizzazione del rank comporta realmente un danno per il business delle aziende? O invece questa fatidica cifra è un po’ sopravvalutata?
In effetti, quella “spinta in su” nella lista di risposte ottenute interrogando il motore di ricerca può significare comparire già nella prima pagina di risultati di Google, potenziando il proprio valore teorico agli occhi degli utenti. Spesso chi utilizza i motori di ricerca si ferma alle prime voci ottenute, per cui più si è in alto e più aumentano le probabilità che questo consulti il proprio sito.
Eppure, non è pensabile affidarsi unicamente al PageRank per ottenere i favori dell’utente/consumatore.
Innanzitutto perché a valere davvero devono sempre essere i contenuti, che aumentano spontaneamente le visite (e quindi il grado di popolarità registrato da Google) senza dover ricorrere a stratagemmi di acquisto link. E in secondo luogo perché esistono altri criteri tecnici da tenere in considerazione per guadagnarsi un buon posizionamento, come ad esempio tag html ben ottimizzati.
Tra le altre cose, è bene tenere presente che i link ospitati, per aumentare il proprio PageRank devono essere essi stessi dotati di un buon valore, trattare argomenti simili e contenere a loro volta pochi link, evitando quelli che usano trucchi di posizionamento (testi invisibili, doorway, link-farm, cloaking): queste condizioni vengono lette dall’algoritmo come una garanzia di qualità del sito.
Infine, attenzione a non trasgredire: l’indicatore di PageRank rimarrà disattivo se la pagina corrente è stata bandita dagli archivi Google, magari per aver utilizzato tecniche spam!