Internet sul cellulare, film sul cellulare, televisione sul cellulare. In poche parole, cellulari: ultimamente non si parla d’altro. E pare che anche i luminari del marketing se ne siano resi conto.
Così, sarà per via del successo dell’iPhone (un milione di pezzi venduti e interesse anche da parte delle aziende), sarà perché non solo in Italia è scoppiata la mobile-mania, sta di fatto che negli ambienti del marketing si sente discutere sempre più spesso di pubblicità sui cellulari e sui dispositivi mobili.
Sia chiaro: niente di così innovativo per noi italiani, già abituati ai vari messaggi pubblicitari – spesso non richiesti – che i nostri operatori mobili ci inviano anche troppo di frequente. Ma all’estero sembrano crederci molto.
Gli studi di ricerca fanno a gara per dipingere scenari esaltanti (il più recente parla di 1,4 miliardi di investimenti previsti nel 2012), Google mette le mani avanti e presenta un sistema di pagamento via cellulare (Gpay). Ma questa pubblicità sui cellulari è davvero tutta questa manna dal cielo? Io credo di no, e vi spiego perché.
C’è una cosa che ha reso i dispositivi mobili così tanto di successo: la loro praticità e “velocità ” d’uso. Non è un caso che – non solo in Italia – uno dei servizi mobili più utilizzati dai consumatori sia quello degli SMS. Short Message System: messaggi “brevi”, che costringono l’autore a esprimersi in maniera concisa.
E non è un caso neppure che altri servizi – più avanzati – fatichino a decollare. Come il consumo di film e spettacoli televisivi sullo schermino del cellulare, di cui ho accennato sopra: troppe complicazioni. Chi invece possiede un cellulare – anche se ultratecnologico e pieno di funzioni inutilizzate – non ama complicarsi la vita.
Come potrebbero avere successo, a queste condizioni, le pubblicità sui dispositivi mobili? Troppo poco spazio su cui lavorare, troppo poco tempo da perdere: è molto difficile che l’advertising possa rientrarci senza risultare fastidioso o irritante per gli utenti.
C’è il rischio, insomma, che le pubblicità “mobili” sortiscano l’effetto contrario a quello voluto: anziché invogliare il consumatore ad acquistare il prodotto, si finisce per far diventare l’azienda “disturbatrice” antipatica.
Un rischio che le piccole e medie imprese non possono correre. Anche se i costi contenuti di questo tipo di soluzioni potrebbero, all’apparenza, suonare come il canto di una sirena.