Part-time: se il datore di lavoro chiede ripetutamente di prolungare l’orario si passa automaticamente al tempo pieno, anche se il dipendente si rifiuta di fermarsi oltre l’orario previsto dal proprio contratto a tempo parziale. La conversione non avviene invece se le richieste avvengono sporadicamente. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n° 11905.
Il nuovo contratto entrerà in vigore dalla data in cui il dipendente abbia svolto «con continuità la sua attività di lavoro secondo orari uguali, o superiori, all’orario normale». Questo significa che il lavoratore dovrà ricevere le dovute differenze retributive.
La Corte ha infatti stabilito che «la libertà del lavoratore di rifiutare la prestazione oltre l’orario del part time è ininfluente» poiché «l’effettuazione in concreto delle prestazioni richieste, con la continuità risultante dalle buste paga, ha evidenziato l’accettazione della nuova regolamentazione» e questo porta con sé «ogni conseguente effetto obbligatorio» essendo presente una modifica «non accessoria» dei contenuti del «sinallagma negoziale».
Deve però essere verificato che non esistano particolari esigenze di servizio che possa giustificare le richieste di lavoro “extra” da parte del datore, dunque la conversione è «conseguente all’accertamento che la prestazione eccedente quella inizialmente concordata – resa in modo continuativo secondo modalità orarie proprie del lavoro a tempo pieno, o addirittura con il superamento dell’orario normale – non risponda ad alcuna specifica esigenza di organizzazione del servizio, idonea a giustificare, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, l’assegnazione di ore ulteriori rispetto a quelle negozialmente pattuite».
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Nel caso specifico portato davanti alla Corte il dipendente di una società concessionaria del servizio autostradale veniva impiegato, anche dopo aver concluso un contratto part-time, per l’intera giornata e addirittura oltre l’orario previsto per il tempo pieno. Una violazione di quanto previsto dal CCNL di categoria.
La Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato quanto aveva già affermato in primo grado il tribunale di Genova determinando che «il rapporto formalmente instaurato part time si era concretamente svolto secondo orari superiori ai limiti massimi», dunque al lavoratore dovevano essere corrisposte le differenze retributive. La Corte d’Appello aveva stabilito che il nuovo contratto decorresse solo a partire dall’anno seguente, ovvero dal momento in cui veniva provata la continuità lavorativa. Ora la sentenza n° 11905 determina che il contratto parte dal momento in cui il dipendente inizia a svolgere l’attività a tempo pieno.