Nelle cessioni d’azienda il Fisco può effettuare controlli per verificare la veridicità del prezzo di vendita dichiarato per il trasferimento della proprietà ma, come si evince dalla sentenza n. 2254/2015 della CTR del Lazio, non può intervenire sul valore, aumentandolo solo sulla base dell’ubicazione dell’attività commerciale.
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Prima del recente pronunciamento, la sentenza n. 4117/2002 della Cassazione legittimava il Fisco a verificare valore e congruità del prezzo dichiarato, confermata anche da quella n. 5078/11. Facendo ricorso ai principi costituzionali, le due sentenze assumevano che un valore accertato dall’Amministrazione Finanziaria, ai fini applicativi di un’imposta, lo fosse anche ai fini di un’altra imposta, lasciando al contribuente l’onere di dare prova del prezzo effettivo, ad esempio mediante le scritture contabili. Difficile però stabilire quale sia l’effettiva rilevanza probatoria di queste ultime.
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La sentenza della CTP di Milano 202/2010 spiegava poi che il valore:
«Calcolato ai fini del registro non può essere assunto tout court quale elemento di prova nell’ambito degli accertamenti ai fini dell’imposta sui redditi… Gli accertamenti presuntivi basati sull’applicazione automatica della definizione di maggiori valori ai fini del registro, non possono trovare validità anche sul versante delle imposte dirette».
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Cessione Azienda
Dunque, in caso di cessione d’azienda, non è il contribuente a dover dimostrare la veridicità del prezzo dichiarato in fase di cessione, ma è il Fisco a dover fornire gli elementi probatori necessari ad operare la rettifica dell’importo, assumendosi l’onere della prova. In ogni caso, la richiesta di una maggiore imposta di registro da parte dell’Amministrazione finanziaria non può essere fondata sull’elevazione del valore dell’avviamento, basata sulla semplice base dell’ubicazione dell’attività commerciale.