Dalla Corte di Giustizia Europea una sentenza che riformula il concetto di equo compenso: in sintesi, la tassa sui supporti di registrazione introdotta in Italia dal ministro Bondi come “risarcimento” ai danni provocati dalla pirateria, è legittima solo se applicata ai privati e quindi è inapplicabile per acquisti aziendali.
La sentenza della Corte prende il via dal caso della società spagnola Padawan, specializzata nella commercializzazione di lettori multimediali e masterizzatori di CD e DVD, la quale si è categoricamente rifiutata di pagare l’orpello imposto dall’equo compenso alla Sociedad General de Autores y Editores (SGAE), il corrispondente della SIAE in Italia. Una presa di posizione che ha avuto l’effetto inaspettato di portare la Corte di Giustizia Europea a rivisitare il concetto di equo compenso.
È necessario quindi distinguere tra acquisti effettuati da aziende e da privati: «qualora le apparecchiature vengano messe a disposizione di persone fisiche a fini privati, non è minimamente necessario accertare che queste abbiano effettivamente realizzato copie private per mezzo delle apparecchiature stesse», si legge nella sentenza.
D’altro canto, «l’applicazione indiscriminata del prelievo per copie private nei confronti di apparecchiature, dispositivi nonché di supporti di riproduzione digitale non messi a disposizione di utenti privati e manifestamente riservati ad usi diversi dalla realizzazione di copie ad uso privato, non risulta conforme con la direttiva 2001/29». Una simile estensione del decreto, non è semplicemente compatibile con le regole attuali del diritto comunitario.
In Italia, l’equo compenso è già realtà dal dicembre 2009, senza nessuna distinzione rispetto alla destinazione d’uso dei dispositivi di archiviazione. Alla luce delle nuove norme, Il mondo business potrebbe quindi presto essere alleggerito da questo balzello, che in pochi mesi ha sottratto alle aziende milioni di euro.