Il contratto a termine nell’arco dei tre anni (36 mesi) per i quali non è più necessario il causalone è prorogabile fino a un massimo di otto volte: è una delle precisazioni che arrivano dal ministero del Lavoro dopo la presentazione del decreto legge approvato dal Cdm dello scorso 12 marzo, che ha previsto una sostanziale marcia indietro sul contratto a tempo determinato (e non solo, anche sull’apprendistato), rispetto a quanto previsto due anni fa dalla riforma Fornero.
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Le imprese sono ora libere di applicare il contratto a termine senza dover spiegare, per iscritto, le esigenze produttive che richiedono il tempo determinato in luogo del contratto a tempo indeterminato) per tre anni (non più uno solo) nell’arco dei quali sono consentite fino a otto proroghe, che si riferiscano alla stessa attività lavorativa del contratto iniziale.
Requisiti di contratto
C’è un paletto: ogni azienda non può avere più del 20% di contratti a termine rispetto al totale dell’organico aziendale. Questo, specifica il ministero, nel rispetto delle precedenti leggi, in particolare dell’articolo 10, comma 7, del Dlgs 368/2001, in base al quale i contratti nazionali possono prevedere limiti diversi e sono comunque esclusi dai vincoli di tetto massimo una serie di tipologie contrattuali (start-up, stagionali). Di contro, le PMI fino a 5 dipendenti non hanno nessun vincolo e possono sempre stipulare un contratto a termine.
Riforma del Lavoro
Il governo, sottolinea il ministero, con queste modifiche vuole offrire «la risposta ritenuta più efficace alle attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo del Paese». Ricordiamo che si tratta di un decreto legge, che quindi andrà convertito in legge dal Parlamento, che potrà apportare eventuali modifiche.
Il decreto, lo ricordiamo, conterrà anche le modifiche sull’apprendistato e sulla smaterializzazione del DURC mentre le altre misure annunciate del Jobs Act saranno contenute in diversi provvedimenti: uno, di cui sono state tratteggiate le linee guida, relativo al taglio del cuneo fiscale (con l’aumento da maggio di circa 80 euro al mese per 10 milioni di lavoratori), e un disegno di legge con una più corposa riforma di contratti di lavoro e ammortizzatori.