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Continua a sollevare un vivace dibattito tra difensori e detrattori dei principi base del Web la lettera congiunta dei dieci Garanti per la protezione dei dati personali (Italia compresa), che contestano – in primis a Google ma in generale a tutti i fornitori di contenuti online – l’eccessiva libertà con cui vengono trattate le informazioni sensibili su Internet.
Dopo la vicenda Vividown e il caso Buzz, la presa di posizione delle dieci Authorities nazionali invita a riflettere su binomio privacy e profitto in Rete.
Da un latoil problema sembra appartenere solo ai colossi come Google o Facebook – per i quali, indirizzandosi a Google, le Autorità richiedono più tutela per la privacy e misure più trasparenti e intuitive per “chiamarsi fuori” senza lasciarsi dietro dati personali “incustoditi” – rei di intrappolare spesso gli utenti in community e social network.
Dall’altro però – al di là della velata ironia riscontrata da Google nei toni della missiva, visto che ha già risposto nei mesi scorsi a ciascuna delle critiche in sede ufficiale – questo monito dovrebbe invitare un po’ tutti a riflettere, per non lasciarsi sedurre dall’apparente estrema semplicità con cui si suppone si possano acquisire contatti e clienti sfruttando le applicazioni della Rete.
In particolare, l’incipiente integrazione delle applicazioni 2.0 e delle funzioni di social networking sui vari siti, compresi quelli aziendali, dovrebbe essere accompagnata da severe politiche di protezione.