Le motivazioni della condanna a Google e ai suoi dirigenti, per aver pubblicato il video shock sul ragazzo disabile senza tutelarne il diritto alla privacy e per la carenza in termini di informativa «talmente nascosta nelle condizioni generali del contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge».
Una sentenza storica che invita alla riflessione sui limiti alla libertà del Web.
Segna un precedente importante il giudizio di responsabilità dolosa dei vertici di Google nel caso Vividown: secondo il giudice, hanno abusato delle potenzialità della Rete per il “fine di profitto e dell’interesse economico“.
Il ricorso in appello del colosso di Mountain View, per difendere le proprie attività online, non si preannuncia semplice: la condannia, infatti, «attacca i principi stessi su cui si basa Internet», afferma Google, senza i quali non potrebbero essere conseguiti tutti i benefici economici, sociali, politici e tecnologici che il Web consente di raggiungere.
Su quest’ultimo punto le oltre cento pagine della relazione conclusiva parlano chiaro: «Google Italy trattava i dati contenuti nei video caricati sulla piattaforma di Google Video e ne era quindi responsabile», ed di conseguenza la dirigenza esprimeva «chiara accettazione consapevole del rischio di inserimento e divulgazione di dati, anche e soprattutto sensibili, che avrebbero dovuto essere oggetto di particolare tutela».