Non lascia spazio a molti dubbi il Ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato in riferimento all‘aumento IVA di luglio («inevitabile»), mentre è più possibilista il titolare dell’Economia Fabrizio Saccomanni: «l’eliminazione completa dell’IMU costa 4 miliardi e altrettanto il blocco di un punto dell’IVA, cifre che fanno ipotizzare interventi compensativi di estrema severità che al momento non sono rinvenibili».
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In pratica, mancano le risorse economiche, ed in mancanza di provvedimenti dell’ultima ora dal prossimo primo luglio l’aliquota al 21% salirà al 22%, come previsto dalla Legge di Stabilità 2013.
In realtà il dibattito è aperto, all’interno della stessa maggioranza.
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Saccomanni, pur molto scettico, spiega che il Governo continua comunque a studiare tutte le ipotesi percorribili, non escludendo ad esempio la possibilità di arrivare a uno slittamento di qualche mese (fino a ottobre o dicembre): il rinvio di tre mesi richiede 2 mld.
Particolarmenete critica la reazione di Renato Brunetta (Pdl), secondo il quale «le continue esternazioni» del ministro dello Sviluppo Economico sono «in contraddizione con gli impegni programmatici del presidente del Consiglio, Enrico Letta», del quale invoca un intervento chiarificatore sulle definitive intenzioni dell’esecutivo. E anche sul fronte Pd, il viceministro dell’Economia Stefano Fassina insiste sul no all’aumento.
Sullo sfondo ci sono le resistenze della UE (la ricetta “consigliata” da Bruxelles prevede di spostare la tassazione da diretta a indiretta, dunque in senso contrario rispetto al taglio dell’aumento Iva).
Il mondo delle imprese, PMI del commercio in testa, chiede a gran voce di evitarlo, il balzello. La dimostrazione forse più “plateale” sono stati i dissensi apertamente dimostrati dagli imprenditori riuniti il 12 giugno per l‘Assemblea generale di Confcommercio davanti al ministro Zanonanto che spiegava di non poter promettere lo stop all’aumento. Il presidente dell’associaizone, Carlo Sangalli, ha chiesto di evitare il balzello «senza se e senza ma» (leggi qui).
E l’indagine dell’ufficio studi Confocmmercio fornisce qualche dato sull’impatto, negativo, dell’aumento: l’aliquota al 22% determinerebbe «una variazione negativa del reddito disponibile per tutte le famiglie concentrate nella prima metà della distribuzione del reddito (con una perdita media compresa fra 200 e 50 euro), mentre i vantaggi maggiori sarebbero ottenuti dal 10% di famiglie più abbienti (con un guadagno medio di circa 190 euro)».