I controlli informatici sul dipendente costituiscono una pratica illecita secondo l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e la normativa sulla privacy (art. 114 del d. lgs. 196/2003). Tuttavia, per garantire le attività in orario di lavoro, i datori di lavoro possono attuare pratiche preventive e pertinenti senza eccedere nelle modalità di accertamento.
Certamente in Italia è illegale l’utilizzo di software di monitoraggio dei dipendenti a scopo di investigazione, ma recentemente la Corte di Cassazione si è espressa in tema di Diritto del lavoro e Privacy chiarendo la liceità del controllo della posta elettronica ex post da parte del datore di lavoro.
Con sentenza n. 2722 del 23 febbraio 2012, lo ricordiamo, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un dirigente di un istituto bancario licenziato perché accusato della divulgazione tramite email di informazioni riservate riguardanti un cliente, e di aver posto in essere, grazie a tali notizie, operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale.
Senza rinnegare i principi base della normativa vigente – inutilizzabilità dei programmi informatici di monitoraggio controllo e sorveglianza continuata del lavoro del dipendente (Internet Access Monitoring) – i giudici hanno riconosciuto che il datore di lavoro può controllare la casella di posta elettronica del dipendente ma solo dopo il comportamento sanzionato con il licenziamento.
L’avvio di un’indagine retrospettiva, pertanto, risulta legittimata dall’esigenza del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, costituito non solo dal complesso di beni aziendali ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico.
In generale, una opportuna policy interna – accompagnata da una formazione mirata e da regolamenti scritti in un linguaggio semplice e comunicati a tutti i dipendenti – costituisce in questi casi la primaria soluzione di contrasto ai comportamenti illeciti e relativi danni.
Prevenire è meglio che curare.