Primo sì della Camera al decreto legge con cui il Governo ha sancito l’abolizione dei voucher lavoro. Il provvedimento ora va al Senato. Il passaggio a Montecitorio non ha comportato nessuna modifica al testo, che abroga le norme sul lavoro accessorio. Un iter veloce, che prevedibilmente proseguirà con lo stesso ritmo anche a Palazzo Madama, in considerazione dell’esigenza di evitare il referendum del 28 maggio. Di fatto, il decreto 25/2017 abolisce le norme sottoposte a referendum, quando si concluderà la conversione in legge si pronuncerà la Corte Costituzionale sulla consultazione. Nel frattempo, resta acceso il dibattito sulle norme da mettere a punto per regolamentare il lavoro accessorio.
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Patrizia Maestri, relatrice di maggioranza, chiede al Governo di:
«avviare rapidamente un confronto con la maggioranza e le parti sociali per definire un nuovo strumento che regolamenti il lavoro occasionale e accessorio rispondendo alle istanze di famiglie e micro imprese ma anche riconoscendo diritti e dignità ai lavoratori»; «da oltre un anno in Commissione Lavoro era avviata la discussione sulla riforma dei buoni lavoro», da cui si può ripartire per definire una nuova disciplina.
Più critico Walter Rizzetto, M5S, vicepresidente della commissione Lavoro, nei confronti della scelta fatta dal Governo di:
«non modificare le norme vigenti con un intervento correttivo ma, al contrario, di abolire interamente l’istituto», che determina «un vuoto normativo che va a danno sia dei cosiddetti committenti, prevalentemente piccoli imprenditori, anche agricoli, e famiglie, sia dei lavoratori, e darà nuovo slancio al mercato del lavoro nero».
Le alternative
Da registrare la proposta di Alternativa Popolare per una nuova legge sul lavoro accessorio che differenzi fra committenti familiari e imprese. In pratica:
- per le famiglie resterebbe la possibilità di utilizzare i buoni lavoro, che salirebbero a 12 euro, con un tetto massimo di 7.500 euro di reddito annuo e 2.000 euro per singolo committente.
- per le imprese l’idea è di togliere i paletti di età al lavoro a chiamata (attualmente previsto per giovani fino a 25 anni e lavoratori over 55).
Anche le ipotesi allo studio del Governo prevedono la differenziazione fra famiglie e imprese, con le prime che potrebbero continuare a utilizzare forme di buoni lavoro, mentre per le imprese si lavora su nuovi contratti flessibili (anche qui, c’è l’ipotesi di allargare il raggio d’azione del lavoro a chiamata).
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Proposta anche una nuova tipologia di mini contratti di lavoro: con orario ridotto, per massimo 70 giorni l’anno (500 ore lavorative), esente IRPEF, con il datore di lavoro che paga solo INPS e INAIL.