Proteggere il brand, anche sul Web

di Marcella Uricchio

8 Giugno 2007 09:00

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Il nome a dominio di un sito è strettamente collegato al marchio dell'azienda. Questa relazione è riconosciuta anche dal punto di vista legale

La realizzazione di un sito internet è oggi considerata un’attività fondamentale per consentire agli imprenditori di competere sul piano della “comunicazione”. Promuovendo in rete la propria immagine aziendale, il brand e le strutture e i servizi che lo compongono, l’azienda ottiene da parte del pubblico maggior attenzione.

Per realizzare un sito internet può essere sufficiente una semplice registrazione di un nome a dominio (l’indirizzo di un sito in formato alfabetico, ad esempio “miosito.it”) oppure l’acquisto di più servizi come l’hosting (ovvero lo spazio per i contenuti del sito), le caselle di posta elettronica, l’antivirus e l’ampiezza di banda che garantisce l’utilizzo da parte di numerosi visitatori.

Il caso più comune è quello in cui tutti i servizi e la realizzazione dell’intero sito (quindi tutti gli aspetti tecnici) sono a cura dell’azienda che vende il sito, rendendolo disponibile “chiavi in mano”.

Senza entrare nel merito degli specifici obblighi posti a carico del provider, come ad esempio il divieto di pubblicazione di siti con contenuti illegali o che promuovono pratiche illegali o il divieto di inserire collegamenti per promuovere un sito o un prodotto, a volte mascherandoli da esempi (c.d. Spam), una delle questioni più spinose riguarda le controversie relative proprio alla registrazione dei domain names, una delle caratteristiche chiave dei siti Web, determinante per l’individuazione dei contenuti.

Subito dopo il boom di Internet, il principio in base al quale si procedeva all’assegnazione dei nomi era quello del “first come, first served”: chiunque chiedesse l’assegnazione di un nome a dominio ancora libero, cioè non ancora registrato da altri, ne otteneva la registrazione e il diritto all’utilizzo.

Le authorities preposte alle assegnazioni dei nomi, in pratica, non si ponevano alcun problema riguardo agli eventuali conflitti con altri diritti di tipo privato, come nell’ipotesi della registrazione di nomi di dominio coincidenti con marchi, soprattutto se celebri.

In assenza di una specifica disciplina legislativa in materia, dottrina e giurisprudenza hanno concordato nell’equiparare il mondo virtuale a quello fisico, applicando la regola per cui il titolare dei diritti di uso esclusivo del segno tipico può inibire a terzi l’uso di quest’ultimo come nome di dominio. In pratica, solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio.

In dottrina si afferma che «la funzione principale di un nome a dominio contenente un marchio denominativo è di consentire l’individuazione dell’offerta commerciale contenuta nel sito». Da ciò deriva che la confondibilità prevista dall’ordinamento italiano in tema di marchi deve applicarsi, di riflesso, anche ai nomi di dominio.

In altre parole, registrando un nome a dominio bisogna valutare la notorietà di quel nome e comportarsi di conseguenza. Come appare evidente, la questione è complicata dai limiti dell’applicazione di concetti di territorialità al Web, per cui un marchio può essere famoso in un Paese, ma non in un altro oppure anche soltanto in una certa città, provincia o regione. In definitiva, manca ai domain name la limitatezza territoriale e settoriale che nel mondo fisico permette di ottenere la concessione ponderata di diritti esclusivi e assoluti.

Solo con l’emanazione del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, modificato dal D.lgs. 140/2006), il legislatore ha, per la prima volta, citato i segni distintivi del Web, assicurando ai domain names una tutela non solo sostanziale, ma anche formale, in quanto, per la prima volta, il nome a dominio viene equiparato, a livello legislativo, agli altri segni distintivi.

L’articolo 22 (Unitarietà dei segni distintivi) prevede, infatti, che:

  1. È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
  2. Il divieto [..] si estende all’adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

Nel Codice viene, inoltre, introdotta l’azione cosiddetta di “rivendica” a favore del titolare del marchio verso l’assegnatario dell’omonimo nome a dominio: in tal caso il dominio può essere revocato oppure può essere direttamente trasferito con l’intervento dell’Autorità Registrante (il giudice può, comunque, subordinarlo al versamento di idonea cauzione: questo perché qualora la pretesa di trasferimento alla fine si rivelasse infondata, l’assegnatario del nome ha diritto ad una garanzia circa l’eventuale risarcimento del danno subito).

Tuttavia, nonostante le predette disposizioni abbiano confermato la centralità del ruolo del nome a dominio in rete, il loro recepimento non è ancora oggetto di un’univoca applicazione da parte dei tribunali, in quanto, nonostante siano ben lontane quelle sentenze in cui il nome a dominio veniva addirittura indicato come un semplice indirizzo IP, non sempre allo stesso viene attribuito quel potere distintivo che era nell’intenzione del legislatore all’atto dell’emanazione del Codice.